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L'Onda

Regia di Dennis Gansel vedi scheda film

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La recensione su L'Onda

di FilmTv Rivista
6 stelle

Ore 9: lezione di autocrazia. È il corso tenuto, in un non meglio identificato liceo tedesco, dal professor Wenger, che gli studenti fino a quel momento hanno chiamato per nome, cioè Reiner: T-shirt da concerto, giacca di pelle, testa rasata e fisico da allenatore della squadra di pallanuoto della scuola. Prima svogliati e scettici, i ragazzi lo seguono in un’attività che si trasforma progressivamente in un gioco di ruolo, ovvero l’Onda, autarchia definita da regole ferree ed esclusive. Ognuno di loro (ci viene detto con una precisione da documentario scientifico) ha motivazioni più che plausibili per intrupparsi, ma per lo più il loro bisogno di un leader può ricondursi a genitori incapaci di esercitare l’autorità. Spinto da motivi biografici a indagare le motivazioni – per lui prettamente psicologiche – dell’adesione a movimenti di massa (il nonno aderì al Terzo Reich) Dennis Gansel, classe 1973, s’ispira al reale esperimento realizzato nel 1967 a Palo Alto dal professor Ron Jones. Il suo è un film-saggio dal ritmo sostenuto (iniettato di punk rock) e ben recitato da tutto il cast di adolescenti. Un classico oggetto da cineforum, pensato per stimolare il dibattito ed evitare che il memento sull’orrore nazista perda di efficacia per eccesso di ripetizione. Sacrosanto mettere in guardia le giovani generazioni dalle degenerazioni della massa (che, come diceva Gaber, «è il contagio»). Ma i moventi e le esecrabili conseguenze dell’assolutismo scorrono senza sfumature, in un vorticoso evolversi, univoco e senza intoppi, verso la follia collettiva e l’autocondizionamento. La frustrazione e il complesso di inferiorità di Reiner (Jürgen Vogel, monolitico come il film), poi, emergono in modo tardivo e casuale, in assenza totale di un contesto articolato e di altre figure forti. Sublima il tutto un finale con ralenti e stop frame, a esprimere un senso del tragico più vicino all’Ispettore Derrick che al cinema critico. È un peccato che lo schematismo finisca per invalidare una legittima provocazione.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 8 del 2009

Autore: Raffaella Giancristofaro

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