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Baarìa

Regia di Giuseppe Tornatore vedi scheda film

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La recensione su Baarìa

di scandoniano
6 stelle

Bàaria” è l’inno alla sicilianità di Giuseppe Tornatore. Per impostazione e valore intrinseco è la sua opera più intima e sentita, il suo manifesto, più ancora di quel capolavoro che fu “Nuovo cinema paradiso”. Le vicende di Bagheria, in provincia di Palermo, dall’epoca del fascismo agli anni ’70 inoltrati, visti con gli occhi di Peppino, che con il suo ideale comunista attraversa le varie stagioni dell’Italia quasi fino ai giorni nostri, conoscendo dittature, guerre, rinascita, mafia, politica, famiglia, amicizia, amore.

Tornatore pecca di onnipotenza, fallendo nell’intento proprio a causa della sua eccessiva foga celebrativa. “Bàaria” è un’opera faraonica e chilometrica, concentrata in 3 ore, ma che certamente, fosse dipeso dall’autore, sarebbe potuta durare all’infinito. Migliaia di comparse, il cast forse più importante degli ultimi 20 anni, con tutti, proprio tutti i principali attori siciliani a rappresentare il centro nevralgico e la partecipazione di alcuni interpreti venuti dall’ester(n)o: il settentrionale Salemme (Napoli), il Mitteleuropeo Bova (Roma) e l’asiatico Placido (Puglia). Ma è una sorta di “Novecento” (di Bertolucci) che però non ha respiro corale, in quanto tutti gli attori entrano in scena e scappano, spesso per non farsi più vedere.

Un’opera che di certo ha bisogno di essere rivista più volte prima di compierne un’esegesi esaustiva e valida. Eppure fin dalla prima visione il film dà la chiara sensazione di deragliare, implodendo proprio a causa della tracotanza dei mezzi, nonché per via di un’autocelebrazione zeppa di autoreferenzialità. Un misto tra omaggio alla Trinacria e sua celebrazione, tra documentarismo e biografia, per un monologo che pare non concludersi, lasciando un grosso punto interrogativo alla fine di una sofferta ed intensissima visione. Un western senza spari, un “Amarcord” sincero, ma senz’anima, tanto che pare dissolversi in una nube di fumo che non profuma d’arrosto.

L’opera è personale, al punto quasi da intimare il pubblico a non parteciparvi: è come se i 28 milioni di euro spesi dalla Medusa per produrre questo (presunto, ma mancato) capolavoro, siano stati usati da Tornatore con la capricciosità di una prima donna che con quei soldi si gira un filmino da conservare per i nipotini, a cui mostrerà quant’era poetica la Sicilia dei suoi ideali; il problema è che Tornatore lo faccia usufruendo di maestranze che conferiscono all’intera operazione una forza espressiva da kolossal, ma a cui purtroppo riserva spazi di approfondimento da Bignami. Di fatto si tratta di un film inattaccabile dal punto di vista tecnico e spettacolare, sicuramente poco avvincente, a tratti noioso e decisamente prolisso rispetto a quanto ci si potesse attendere, il tutto, riassumendo, a causa di una sceneggiatura solipsista.

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