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Wolfman

Regia di Joe Johnston vedi scheda film

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La recensione su Wolfman

di RicDraven
8 stelle

Da rivalutare.

Ci sono film troppo attesi che alla prima visione al cinema mi deludono, com'è successo con "Wolfman" di Joe Johnston, ispirato a "L'uomo lupo" del 1941, classico dell'orrore Universal.

In seguito, però, dopo averlo rivisto in Tv, il mio muro di pregiudizi ha iniziato a sgretolarsi, e mi sono accorto che "Wolfman", invero parecchio bistrattato da critica e pubblico, non è poi così male. Di recente, ho quindi deciso di acquistarne il Blu-ray, di qualità eccelsa, con tanto di versione estesa e abbondanti extra, scoprendo dettagli che mi erano sfuggiti o avevo banalmente trascurato.

Sicché, ho pienamente apprezzato la cura tecnica e artistica, come l'ottima fotografia di Shelly Johnson, le scenografie, il montaggio, gli splendidi costumi di Milena Canonero, le musiche composte da Danny Elfman, specialista nel genere dark (prediletto di Tim Burton), il pregevole make-up del maestro Rick Baker (gustoso il suo cameo gitano), e l'uso funzionale della CGI, tecnica di cui oggigiorno si tende ad abusare, soprattutto in film di questo tipo.

Nonostante alcuni eccessi splatter (in barba agli inevitabili limiti di censura), ho assaporato le atmosfere gotiche, gli omaggi e le citazioni, come i richiami alla leggendaria "Bête du Gévaudan" o ad altri cult-movie sui licantropi, come “Il segreto del Tibet”, “L’implacabile condanna” e "Un lupo mannaro americano a Londra" (vedi alcune scene ambientate nei vicoli della capitale inglese e la presenza, fra i comprimari, del caratterista David Schofield).

Ho colto una certa coerenza narrativa, approfondito personalità e simbolismo dei protagonisti, come il Lawrence Talbot di Benicio Del Toro, uomo in fuga dai ricordi, figlio tormentato da un fardello edipico, abile attore shakespeariano che sul palco si trasforma in chi interpreta dominandolo (figure tragiche, ambigue o malvagie come Amleto, Macbeth o Riccardo III), infine condannato a mutare ed essere schiavo di un "altro", la deliziosa Gwen di Emily Blunt, calda e abbacinante come il volto della luna (nomen omen, non a caso etimologicamente Gwen significa sia bianca, lucente, sia "dea della luna"), col suo andirivieni in Talbot Hall inconsapevole artefice d'ogni disgrazia, il Sir John Talbot di Sir Anthony Hopkins, padre geloso, selvaggio e vendicativo, il Det. Abberline di Hugo Weaving, borioso ma abile cacciatore di mostri, temuti, forse invidiati.

Spero che "Wolfman", film dal gusto retrò ma al contempo moderno, sia un giorno rivalutato.

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