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Lanterne rosse

Regia di Zhang Yimou vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Lanterne rosse

di degoffro
10 stelle

"Purtroppo è una femmina, non servirà a niente!". Sta in questo conciso ma significativo dialogo tra la seconda e la quarta signora, relativo alla figlia che la seconda signora ha avuto dal padrone, il senso profondo del più celebrato capolavoro di Zhang Yimou, tratto dal breve romanzo "Mogli e concubine" di Su Tong (1) (pubblicato in Italia dalla Feltrinelli) e sceneggiato da Ni Zhen. Essere donna nella Cina degli anni venti non aveva alcun valore, anzi era praticamente una condanna. Lo si capisce fin dall'incipit, un intenso e prolungato primo piano sul volto immobile di Gong Li (presenza magnetica che ad ogni visione rapisce lo sguardo ed il cuore dello spettatore). La matrigna le fa presente: "Se sposi un uomo ricco, sarai solo una concubina". E Songlian, con una lacrima che le scende sul volto, replica consapevole e rassegnata: "Sì sarò una concubina: è questa la sorte di ogni donna". Ballata tragica in tre atti (corrispondenti ad altrettante stagioni della vita: estate, autunno, inverno) con prologo ed epilogo, dallo struggente lirismo e dalla straziante intensità. Visivamente sfolgorante e sbalorditivo, narrativamente poderoso ed appassionante, politicamente pericoloso e malvisto dalle autorità (ogni riferimento all'opprimente potere cinese non è casuale e questo spiega perché il film, potente e per nulla velata metafora dell'Impero feudale cinese, dei suoi paradossi e delle sue perversioni, non abbia trovato regolare distribuzione nella Repubblica Popolare). Zhang, al suo meglio, non si limita a raccontare, come nel precedente e meraviglioso "Ju Dou", la spietata e disumana condizione femminile (nel suo immaginario cinematografico, lucida ed impressionante fotografia della Cina dei primi decenni del secolo scorso, la donna è condannata alla morte, alla follia, o alla miseria) ma constata, amaramente e dolorosamente, l’annullamento dell’amore a vantaggio della violenza, della sopraffazione, del mercato dei sentimenti. "La rigorosa geometria architettonica delle immagini e l’ossessiva e lentissima ripetitività delle situazioni sono indice di una ciclica prigionia claustrofobica, dal quale è impossibile uscirne se non a caro prezzo." (Roberto Donati). Il marito/padrone è inequivocabile espressione di un potere che ha continue pretese, impone rigide regole di organizzazione, impartisce severissime punizioni in caso di disobbedienza. "Per il padrone sono uno dei suoi tanti vestiti che può indossare o togliersi a suo piacimento!" dirà Songlian. Di fronte a questo annichilente potere, Zhang individua le modalità per ribellarsi alla regola della casa e della tradizione, ma dimostra anche come quei tentativi di insurrezione individuale, dettati dall'istinto, dalla cultura, anche dalla necessità, senza avere alleati sicuri o sufficienti, siano destinati ad una inesorabile ed implacabile sconfitta. Il regista fornisce anche la motivazione di questi fallimenti: il potere non ha un volto preciso, può essere in tutti i luoghi ed assumere le sembianze più impensate, in ogni caso è invisibile e, proprio per questo, difficile da combattere (geniale l'idea di mostrare il padrone solo in campi lunghi, dietro tende o in ombra). Allora, come afferma Songlian, forse è davvero "meglio morire che vivere questa vita". "Lanterne rosse" è poi un ritratto crudele e disincantato dei rapporti tra i sessi, guidati spesso da meschine, perfide e diaboliche logiche di potere. Songlian per gareggiare con le sue sorelle e guadagnarsi una notte con il padrone capisce che deve ricorrere ai loro stessi grezzi metodi, rivelando, come la temibile ed infida seconda signora, "la faccia di un Buddha ed il cuore di uno scorpione": ecco così menzogne, inganni, veleni, calunnie, cattiverie, bassezze, abiezioni, a conferma di quanto si legge nel romanzo di Su Tong a proposito delle donne definite come "essere strani, capaci di andare a fondo del cuore degli altri, ma incapaci di conoscere il proprio". Straordinaria anche la spietata analisi dei rapporti di classe, attraverso il notevole, ed alla fine commovente, personaggio della serva Yan'er, "nata per fare la serva e non per perdere tempo a sognare". Memorabile e dirompente la sequenza in cui la terza signora, scoperto il suo adulterio, viene condotta nella camera della morte per essere giustiziata: un'atmosfera di profondo ed inquietante silenzio, amplificato dal bianco della neve e squarciato dall'urlo, improvviso e straziante, di Songlian che assiste al tutto da lontano, incredula, fremente e terrorizzata, nascosta tra le suggestive e labirintiche architetture dell'edificio (la scenografia è un fondamentale valore aggiunto del film). Eterna invece l'immagine finale di Songlian, ormai impazzita, divorata dal senso di colpa per avere inconsapevolmente causato la morte dapprima della serva Yan'er (altra sequenza dalla bellezza sconvolgente) e poi della terza signora: capelli spettinati, sguardo perso nel vuoto, espressione del volto sconvolta, smarrita, indifesa, vinta, vaga avanti ed indietro per il cortile. Come un fantasma. La sua giovinezza e la sua impetuosità si sono scontrate duramente contro il muro invalicabile delle arcaiche tradizioni feudali: il solo tragico risultato ottenuto è la follia. Tornano così alla mente le sue profetiche parole: "Tra gli uomini e i fantasmi la sola differenza è il respiro!". Emozionante. Nomination all'Oscar per il miglior film straniero scippatogli dal nostro "Mediterraneo".


Voto: 8 e mezzo.

(1) Il film è molto fedele alla novella da cui è tratto ed alcuni dialoghi vengono direttamente dall'opera letteraria. Yimou però non insiste, a differenza di Tong, sull'impotenza del padrone e lascia decisamente in secondo piano il rapporto d'affetto e complicità tra Songlian e Feipu, figlio del padrone, molto più intimo ed approfondito nel romanzo, dove si evidenzia, tra l'altro, la forte paura del giovane Feipu nei confronti delle donne e le sue tendenze omosessuali. Nel romanzo inoltre la "camera della morte" viene sostituita dal "pozzo della morte" (tipico elemento della cultura orientale, si pensi per esempio anche a "Ring" di Kôji Suzuki), ma le conseguenze a livello di narrazione sono identiche. Tra gli episodi tagliati nella versione cinematografica da ricordare quello in cui Meishan fa picchiare il figlio della seconda signora. Non mancano infine elementi quasi horror, assenti nel film, come quando Songlian sogna che la serva Yan'er venga a trovarla dagli inferi e le trafigga il petto con uno spillone.

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