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X-Men. Le origini: Wolverine

Regia di Gavin Hood vedi scheda film

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La recensione su X-Men. Le origini: Wolverine

di lussemburgo
6 stelle

 

Prima tappa di integrazione organica del multiverso Marvel verso la costruzione di intrecciati crossover già impliciti nella rilettura di Hulk e nella presentazione di Iron Man, il prequel sulle origini del mutante più noto non riesce appieno nella trascrizione filmica delle tavole omonime.

Benché non privo di interesse in alcuni momenti (le ellissi iniziali, la vita come guerra, la guerra come destino di un essere immortale per la sua qualità rigenerativa), il capitolo introduttivo del personaggio di Wolverine finisce per costruire un costoso B-movie d’azione in cui l’intento ritrattistica iniziale si stempera nella ripetizione di una tipologia già completa nell’apparato iconografico e nella riconoscibilità: più che definire un character in progress Wolverine amplifica e riempie le sacche di mistero lasciate a margine della trilogia iniziata da Singer, depotenziando così il carattere ombroso del personaggio e la sua selvaggia impertinenza.

Piacevolmente disimpegnato, il film si vorrebbe melodrammatico ma sembra attraversato con noia da Hugh Jackman che, sebbene impegnato nella produzione, non aggiunge colore al personaggio o tepore al suo percorso formativo facendo di Wolverine un tracciato performativo di exploit ribaditi a cui è concessa la trascrizione.

Tra necessario déjà-vu e paura dell’inedito, il film accavalla riferimenti e mutanti secondari, cripitici per i poco adusi, travalica la tematica segregazionista e razzista dei lavori di Singer per impuntarsi sulla cospirazione governativa e accentuare l’americanismo individualista di un personaggio nato canadese sulla carta dei fumetti.

Non noioso né appariscente, il film di Hood si posiziona nella zona intermedia tra mestiere e intrattenimento senza incaponirsi nell’originalità. Ed è forse nel substrato inconscio della messa in immagini che rivela, con la partecipazione di attori traslati da Lost (Dominic Monaghan e Kevin Durand) l’implicita vicinanza tra la modalità episodica dei fumetti e delle serie televisive, e la rispettiva convergenza (ed influenza) nel cinema moderno.

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