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Che. L'Argentino

Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film

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La recensione su Che. L'Argentino

di mc 5
10 stelle

Di fronte a questo film bisogna porsi con grande rispetto, perchè si tratta di un'opera dal sapore monumentale, un'opera importante e con un peso specifico enorme. Non è dunque un film da giudicare secondo criteri tradizionali, oserei quasi dire che non è un film per tutti, e lo affermo ripensando a certe reazioni del pubblico durante la visione cui io ho assistito. Premesso che il film, nei suoi 130 minuti, ha tempi piuttosto dilatati, ho percepito chiaramente l'insofferenza di gran parte del pubblico presente in sala. Pubblico che, secondo me con una buona dose di ignoranza e dabbenaggine, credeva di approcciarsi ad un film del genere "avventuroso-guerra-azione". Chissà se quelli della BIM, che ha distribuito meritoriamente la pellicola, sono consapevoli che si tratta di un'opera, diciamo così, di non facile digeribilità e i cui tempi dilatati richiedono allo spettatore medio (e quindi non cinefilo) uno sforzo supplementare che -con questi chiari di luna- diventa una vera scommessa. E, per inciso, mi riferisco anche al fatto che il film ha avuto una distribuzione capillare in parecchie multisale. Sì, perchè Soderbergh non si è affatto preoccupato di "indorare la pillola", infarcendo l'opera di espedienti spettacolari che la rendessero più "appetibile"; no, il regista ha confezionato un film estremamente solido e rigoroso, senza minimamente piegarlo a qualsivoglia esigenza commerciale. Con questo non intendo affatto dire che si tratta di un film ostico, ma bensì che, raccontando qualcosa di epico, di grandioso, di importante storicamente e politicamente, non poteva essere ridotto in "pillole". Infatti al centro di tutto c'è la storia di una rivoluzione politica e culturale portata avanti da un uomo che si cimentò in un'impresa più grande di lui, e infatti il suo sogno si rivelò un'utopia, ma almeno ci provò: l'impresa di cambiare il mondo, e scusate se è poco. La figura del Che è per molti di noi in assoluto quella piu' ricca di fascino, il personaggio più accattivante della politica di tutti i tempi, la più luminosa leggenda vivente della Storia, colui di cui nessuno riuscì mai ed eguagliare il carisma. E questo film dovrebbe aiutare a capire l'uomo e il politico, a fornirci gli strumenti per interpretare il suo carisma, e però anche per comprenderne le debolezze e i lati fragili. E a mio avviso la pellicola assolve egregiamente a questi compiti, restituendoci luci ed ombre di un uomo cui la storia ha attribuito i contorni del mito. La struttura imponente di questo film poggia su due granitici pilastri: Benicio Del Toro e Steven Soderbergh, al punto che penso si possa affermare che resterà il film più importante delle loro rispettive carriere. La performance di Del Toro è qualcosa di indefinibile, di immane, qualcosa di talmente epico che d'ora in poi, ogni volta che vedrò una maglietta del Che o un suo ritratto, non potrò più fare a meno di pensare a quest'attore che è riuscito a compenetrarsi mirabilmente col personaggio, dando vita a qualcosa che va oltre la comune "rappresentazione"; aiutato da una straordinaria rassomiglianza fisica, Del Toro non "interpreta" più il Che, lui "diventa" il Che, come a voler affermare categoricamente che quello è il Che "definitivo" e non ce ne potrà mai più essere un altro. Una interpretazione, la sua, di quelle epocali, totalizzanti, di quelle che reclamano un Oscar. Anche perchè poi il film è così ampio da consentire a Del Toro di mostrarci una gamma sorprendente di sfumature, per chi le saprà decifrare dietro la "maschera" austera del Comandante. E veniamo a Soderbergh. Ma qui cè un discorsino da fare. Nel corso degli anni ho constatato, nei suoi riguardi, un curioso atteggiamento da parte della critica, anche se il suo caso non è certo l'unico. Ho l'impressione (anzi più che un'impressione è una certezza) che nei suoi confronti sia riscontrabile una sorta di ostilità precostituita, come se stesse istintivamente antipatico a molti addetti ai lavori. Sarà quel che sarà, magari anche quella sua facciotta da nerd americano saputello, ma sta di fatto che Soderbergh non è cineasta proprio amatissimo fra i critici. Eppure, ripensando alla sua filmografia, non individuo film così orribili da guadagnare tanta ostilità. Anzi, se proprio vogliamo valutarne globalmente l'opera, dobbiamo riconoscergli una versatilità molto rara e la capacità di eccellere in ogni genere cui abbia messo mano. Certo, ovvio che non tutti suoi film sono allo stesso livello, ma trovatemi voi in giro molti registi che a soli 45 anni abbiano all'attivo lavori come "Sex lies and videotapes", "Traffic", "Ocean's Eleven", "Che"...Figuratevi che io ho apprezzato perfino quel film "alieno" che era "Bubble", massacrato senza pietà da quasi tutta la critica. E se da una parte ha mostrato mano felice in film brillanti (la serie "Ocean's", per esempio, che suppongo lo abbia gratificato parecchio a livello economico), la sua filmografia testimonia anche una evidente tendenza al rischio e al coraggio un pò incosciente (il già citato "Bubble" oppure "Solaris"). E a questo aggiungiamo poi, per completare il quadro, che i film da lui diretti gli appartengono doppiamente, in quanto Soderbergh tende a mantenere il controllo anche sulla sceneggiatura, sulla fotografia e sulla produzione. Il materiale che racchiudeva ascesa e caduta del "Comandante" era talmente vasto da rendere necessaria la scelta di dividerlo in due film. Quello di cui adesso stiamo parlando s'intitola "L' Argentino", il prossimo ("Guerriglia") arriverà nelle sale tra un paio di settimane e, a detta di molti fra coloro che lo hanno visto, pare sia qualitativamente molto superiore al primo. Si inizia dall'incontro messicano tra Ernesto Guevara, giovane medico argentino, e Fidel Castro, che apre il percorso di quell'avventura rivoluzionaria cubana che culminò nella decisiva battaglia (e conquista) di Santa Clara, comprendendo anche il famoso discorso-invettiva pronunciato dal Che alle Nazioni Unite nel 1964, il tutto intervallato da spezzoni (in suggestivo bianco e nero) di un'intervista che Guevara concesse ad una giornalista americana. Già in questa prima parte si percepisce il presagio del tema del secondo film, cioè il senso del martirio che avvolge la resistenza nelle foreste boliviane, condotta in nome della disperata utopia di chi fino all'ultimo ha creduto nel sogno di un Sudamerica unito. Va detta assolutamente una cosa: questo non è un biopic convenzionale, soprattutto se si pensa alla scelta di non spettacolarizzare la figura del Che, affidandola completamente ai toni misurati, alla calibratura sapiente delle emozioni e all'esperienza consumata di un attore superlativo. Ma nel cast di questo primo film vanno segnalate anche due presenze femminili di rilievo. E si tratta peraltro di due attrici che hanno sempre goduto della mia stima. Una è Julia Ormond, donna piena di fascino e dotata di due occhi che sembrano emanare lampi di intelligenza. E l'altra è sicuramente un pò meno brava, ma è un'attrice per la quale, a pelle, sono solito provare un misto di tenerezza e simpatìa: Catalina Sandino Moreno non sarà un mostro di istrionismo ma è, come sempre, carina e adeguata al ruolo. Il film è il frutto di sette anni di ricerca sul personaggio e di raccolta di dati e documenti, a cui vanno aggiunti gli sforzi per reperire i finanziamenti (non dev'essere stato facilissimo metterli assieme, dato che i produttori USA sanno benissimo come il Che nell'immaginario americano abbia a lungo rappresentato una "bestia nera", anche se l'intelligenza e la lungimiranza di quel meraviglioso politico che è Obama stanno cambiando questa mentalità oltre a -per fortuna- tante altre cose in America). Insomma, Soderbergh ha lavorato davvero sodo per condurre in porto quello che è destinato ad essere "il Film" della sua carriera di regista. Ho letto poi da qualche parte che in questo film ha avuto ampio utilizzo una nuova macchina digitale chiamata "Red", che pare sia in grado di restituire in modo perfetto i colori della natura, ma qui mi fermo perchè di "cose tecnologiche" non ci capisco quasi nulla e farei solo figuracce. Vorrei piuttosto concludere con una considerazione che implica anche una replica ai già numerosi detrattori. Soderbergh ha scelto di documentare ampiamente cosa c'era dietro le decisioni politiche del Che, dando ampio spazio alla ricerca di soluzioni tattiche ed organizzative. Questa scelta ha dato adito in parecchie recensioni all'accusa di aver trattato la materia (e il personaggio) con la freddezza di un chirurgo. Il ragionamento dei detrattori è dunque del tipo: "Che" significa passione mentre qui si vedono solo calcolo e strategia. Può alla fine apparire paradossale (se si segue la logica critica sopra riportata) che Soderbergh abbia speso sette anni della propria vita per preparare un film su un mito e poi ce lo mostri (questo mito) freddo e distante. Io vedo le cose in un altro modo. Cioè Soderbergh ha SCELTO di raccontare come un Documentario l'ascesa e la caduta di un mito. Se lo avesse dipinto con forte coinvolgimento emotivo ne avrebbe tracciato una celebrazione agiografica (e allora sarebbero fioccate accuse d'altro tipo, forse più giustificabili). Il Che di Soderbergh non è un santino per far piangere lacrime nostalgiche a qualche rifondarolo in malinconica crisi di identità. Per fortuna è qualcosa di molto più serio e rigoroso.
Voto: 10

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