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The Chaser

Regia di Hong-jin Na vedi scheda film

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Marcello del Campo

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La recensione su The Chaser

di Marcello del Campo
8 stelle

 

Locandina Internazionale

The Chaser (2008): Locandina Internazionale

 

Mezzo secolo fa Mike Hammer inaugurava l’era del poliziotto marcio, i romanzi dello scrittore Mickey Spillane avevano impresso sul dorso della prima di copertina il marchio “Gialli proibiti”. Si vendevano solo nelle edicole. Hammer era detective e giustiziere, l’assassino era spesso una donna che nel finale appariva ‘completamente nuda sotto’. Hammer non era tipo da cascarci, “io sono la giuria” era il suo motto. Un colpo alla testa e giustizia era fatta. Robert Aldrich in Kiss me Deadly dà il ritratto definitivo del dirty detective. Non Quinlan, non Callaghan sono sporchi come Hammer, quanto al gioco di identificazione tra detective come specchio del serial killer; da James Ellroy a Thomas Harris, possiamo tranquillamente annetterlo alla letteratura, partendo dal Porfirij Petrovic di Delitto e castigo a Andrew McIndoe del magistrale Torno presto di James Barlow, il romanzo più dostoevskiano (e tecnicamente kurosawiano) che sia mai stato scritto.

 

Mezzo secolo dopo: un poliziotto corrotto è alla caccia di un serial killer, autore di crimini efferati che hanno sconvolto un sobborgo di Seul a metà del 2000.

Young-mi Jee ha ucciso dodici giovani donne, colpendole con un martello. Alla domanda dove ha sepolto i corpi, risponde che non lo sa, ma ricorda perfettamente che ha reciso loro il tendine e le ha appese a un gancio per svuotarle di tutto il sangue. Poi le ha fatte a pezzi. Alla domanda dove sono i corpi, risponde che non ricorda.

Allo spettatore del capolavoro coreano Chugyeogja (The Chaser, 2008) rimarrà impressa una testa femminile spiccata dal busto: giace sul fondo di un acquario e occupa lo spazio visivo sbigottito dell’investigatore Joong-ho Eom.

Joong-ho è uno sporco poliziotto, non più sporco dei suoi colleghi (“Certo, ho cercato di farmi un po’ di soldi con le puttane”, urla a un altro che fa il moralista, “e tu che taglieggi i negozianti della città?”)

Una “Poison City” come se ne vedono in molti film di oggi, con una differenza: la città è tutta una merda, la vita è una merda, sibila Joong-ho: un barlume di pietas si impadronisce di lui quando scopre che una delle ‘sue’ ragazze è scomparsa, finita nel buco nero dell’antro del killer seriale.

Ora si ritrova con la figlioletta di My-jin Kim (la ragazza perduta) e ha poche ore per dimostrare che il reo confesso è davvero il colpevole. Ma se quello non dice dove ha sepolto i corpi, dove ha ucciso le ragazze, non ci sono prove e il rischio che la polizia lasci andare Young-mi Jee sarebbe una sconfitta anche per il sindaco che nel giorno della ‘caccia’ è stato oggetto di un lancio di un pacco di merda da parte di un cittadino paranoico allo stremo.

 

Hong-jin Na alla prima regia colpisce nel segno, e con brutalità, con un film eccelso in cui il dosaggio della tensione, già forsennatamente alta fin dall’inizio, non lascia tregua. Il killer è noto subito, è all’opera con gli attrezzi chiusi in una valigetta, un quarto d’ora di crudeltà e poi c’è l’indagine che occupa tre terzi del film.

Sullo sfondo della città orizzontale, disegnata sul filo dello skyline, si incrociano vicoli, sobborghi, bidonville, ma nella città verticale la caccia è più serrata, tra saliscendi magistralmente perforati da una camera ipercinetica. La colonna sonora ( di Yongrock Choi) batte il tempo con percussioni di rara ferinità, cacciatore e killer si scontrano con il ricorso al cervello posteriore: è la notte dei tempi, ogni arma è buona, anche l’asfalto offre appigli a unghie avvezze a scalfire.

Andy Robinson è un pallido Scorpio al confronto, un gentleman, perché The Chaser è un’opera-limite che regge il paragone con Il silenzio degli innocenti per il plot e con Old Boy per potenza espressiva.

Hong-jin Na ha diretto nel 2010 il thriller Hwanghae (The Yellow Sea), che conferma il grande talento del trentasettenne regista coreano.

 

 

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