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Hunger

Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Hunger

di Enrique
6 stelle

L’apatia ha mietuto un’altra vittima: il sottoscritto.

Il film avrebbe voluto costituire una denuncia nuda e cruda: un violentissimo pugno nello stomaco. Un dramma totale; debilitante tanto per i protagonisti (leggendaria la metamorfosi, al rovescio, di  M.Fassbender), quanto per noi spettatori. Lunghe sequenze intendono trasmettere il disagio dell’attesa ansiosa (scena della pulizia del corridoio), dell’erosione fisica (scene dello ricovero di Bobby Sands nell’infermeria del carcere di Maze)… dell’erosione interiore (qualunque scena di privazione e sopruso). E, in effetti, molti spettatori hanno certamente vissuto anch’essi questi sentimenti.

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Io, a dir la verità, un po’ meno. Non mi hanno raggelato il sangue nelle vene, né cagionato disturbi emetici o cose simili. Il motivo? Forse perché largamente anestetizzato dalla visione quotidiana di una realtà altrettanto amara, eppur tuttavia a noi ben più vicina. O, forse, perché più concentrato a scandagliare i vezzi registici del primo (in termini di film girati) McQueen (comunque non troppo deprecabili come si sente dire in giro: il cinema d’autore - o aspirante tale - vive anche di questo). O, forse ancora, perché più interessato a estrarre il senso più profondo e autentico della “fabula” di Hunger.

Sì, credo principalmente per quest’ultima ragione. Perché mi pare abbastanza evidente che la ratio del film non risieda nell’urlata (metaforicamente parlando, visto che, per tutto il film, prevalgono, di gran lunga, riflessivi silenzi) invettiva contro il macroscopico difetto di “pietas” (vocabolo molto in voga nei commenti precedenti) del “regno” (vista la durata) Tatcher. Non credo proprio, infatti, che McQueen abbia voluto prendere posizione in tal senso; che abbia voluto dare spazio alle ragioni della protesta; che abbia voluto “umanizzare” solo una delle parti in contesa. Alquanto difficile, certo, solidarizzare con i brutali “tutori dell’ordine”, così come, parimenti, difficile è accordare solidarietà a criminali che di “politico” neanche l’ombra hanno. I criminali si confondono fra entrambe le parti. Persone sopravvivono e muoiono da entrambe le parti (così come accade alla prima e all’ultima persona inquadrata nel film).

E persone che si professano cattoliche interpretano in maniera radicalmente opposta la stoica missione affidatagli dall’Onnipotente. Solamente i sogni di una giovinezza più o meno spensierata ci accomunano tutti. Doveroso tributargli, allora, un ultimo, affettuoso ricordo.

Quella di McQueen è, dunque, una disamina minuziosa, asciutta e impietosa di una realtà fortemente drammatica: una disamina mai edulcorata (e, in quanto sconosciuta ai più, meritevole di esposizione al pubblico interessato), che non fa sconti a nessuno e (quindi) si rivolge a tutti. Che nessuno si senta la coscienza a posto. A partire da me (e dalla mia triste - lo ammetto - indifferenza).

 

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