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Hunger

Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film

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La recensione su Hunger

di mc 5
10 stelle

Un piccolo film che dura poco più di un'ora e mezza, una produzione angloirlandese realizzata con budget evidentemente modesto, ma che però alla fine risulta tremendamente ingombrante. Non è facile parlarne, perchè è una di quelle pellicole che ti lasciano annichilito ed inerte, tanto l'impatto è durissimo e per alcuni perfino insostenibile. Personalmente, oltre alla violenza di certe immagini che avevo peraltro preventivato, ciò che più mi ha coinvolto è un immenso senso di tristezza che avvolge ogni fotogramma, dall'inizio alla fine e che trascina lo spettatore in un viaggio dove sembra non vi sia alcuno spazio per la speranza. Va detto, certo, che le tematiche qui affrontate (quelle del conflitto aspramente radicato tra i ribelli irlandesi dell'IRA e il Regno Unito) non ci coinvolgono direttamente e restano per noi sullo sfondo, come qualcosa che non ci appartiene, però si tratta di un tema politico-storico-sociale importante, giacchè a tutt'oggi gli irlandesi non si sentono affatto inglesi e quella che attualmente vige è una lunga tregua che ci auguriamo duri per sempre, ma che sottende una diversità tra due culture (e religioni) destinata a perpetrarsi in eterno. Io non intendo entrare nel merito, in quanto non conosco tutti i termini di questa situazione, che in certi casi assume i colori dell'odio, ma cerco di attenermi ai dati di fatto. Che sono quelli di militanti che hanno compiuto autentici atti di terrorismo provocando morti e feriti, e dall'altra parte un governo britannico che non ha mai voluto sentire ragione e che ha sempre represso nel sangue ogni tentativo organizzato di protesta. Naturale quindi che il perseguire ogni nucleo di opposizione generi poi la sovversione, compresa quella subdola del terrorismo. E questa intransigenza è significativamente rappresentata nel film dalla riproduzione della vera voce della signora Thatcher, la quale ribadisce più volte che per lei quei ribelli sono tali e quali ai criminali comuni, aggiungendo poi (a mio avviso sciaguratamente) che gli scioperi della fame nelle carceri sono solo un espediente per far leva su sentimenti pietistici. E nemmeno si può tacere che quei ribelli, una volta incarcerati, dovevano sottostare a botte ed umiliazioni, aspetto quest'ultimo assai grave (nell'esacerbare gli animi) e che nel film trova giusto rilievo. Ma non vorrei che adesso qualcuno in evidente malafede ripetesse la manfrina già sentita in occasione di "Diaz", quando si è ignobilmente accusato il regista Vicari di "tifare per i black blok", nel senso che non mancherà chi punterà il dito contro Il regista Mc Queen, reo di aver confezionato un tributo all'IRA. A dissipare ogni dubbio in questo senso porto come prova la breve ma agghiacciante sequenza in cui si vede un terrorista che entra tranquillo in una casa di riposo e "giustizia" brutalmente una guardia carceraria in borghese freddandola con un colpo di pistola alla testa, proprio mentre la vittima stava porgendo un mazzo di fiori all'anziana madre. E' una scena da brivido, credetemi. Un'esecuzione in piena regola, di una chirurgia brutale, e che restituisce in pieno l'idea del clima che imperava in quegli anni in Irlanda. Un classico: la violenza che genera violenza, non se ne esce. Violenza che viene documentata nel film dalle immagini dei militanti arrestati, i quali tra quelle mura regrediscono a condizioni animalesche, costretti a convivere coi propri escrementi. E quando quei disgraziati maturano iniziative di rivolta, queste vengono puntualmente represse con selvagge azioni poliziesche. Fino a quando Bobby Sands, che è un po' il leader all'interno del carcere di Belfast, prende un'estrema decisione: uno sciopero della fame da praticare collettivamente. Le didascalie conclusive ci mostrano dei dati che ognuno è libero di commentare come crede, dal momento che in una sfida così tremenda non potranno esserci vincitori e vinti. Io sono perplesso, in generale, di fronte all'opportunità di intraprendere una scelta così estrema, in quanto votata all'autodistruzione. D'altra parte per Bobby Sands e i suoi compagni quella rappresentava l'Arma Finale, la sola utilizzabile. Però resta il fatto che oltre a Bobby altri nove uomini si lasciarono morire, senza che la "cara" signora Thatcher abbia ceduto di un millimetro nel riconoscere a quei detenuti lo status di prigionieri politici. Che dire? Forse è meglio non emettere giudizi, e affidare alla Storia un verdetto definitivo che sortirà chissà quando, dato che di fatto Irlanda e Inghilterra non si sono mai realmente compenetrate e resteranno forse per sempre due realtà inconciliabili. L'importante è che nessuno riattizzi l'odio e che permanga questa tregua che per lo meno esclude sacrifici umani. Prima di entrare nello specifico dell'analisi del film, vorrei afferrare meglio il senso di questa vocazione al martirio (lo dico ovviamente senza ironia) da parte di quei ribelli carcerati. E qui arriviamo a quella che è l'occasione di riflessione centrale del film. Vale a dire i limiti (se ce ne sono) all'uso e all'abuso del proprio corpo da parte di chi vuole attuare un'azione di protesta. Certo, un'azione di questo tipo, cioè l'immolarsi in senso sacrificale per un ideale, implica un'idea assoluta di coraggio e di fierezza, qualcosa che può trasfigurare nella beatificazione e nella consacrazione dell'Eroe che muove un popolo e il suo ideale di Libertà. Ma non è tutto così esaltante in senso epico. Perchè esistono altri risvolti che non possiamo ignorare. Tralasciamo pure l'aspetto religioso che non ammette il diritto alla disponibilità sulla propria vita, il punto è un altro. E riguarda l'interrogativo se sia legittimo trascinare in una deriva di dolore irreversibile e straziante i famigliari di chi ha deciso di lasciarsi morire. Anteponendo in pratica una scelta idealistica all'atroce dolore inflitto alle persone care che restano sulla terra. La struttura del film è abbastanza semplice, in quanto divisa in blocchi piuttosto ben distinti. Prima ci viene introdotto il personaggio di una guardia carceraria, colta sia in carcere durante le azioni repressive sia nella propria ordinarietà quotidiana domestica. Poi conosciamo da vicino la durissima realtà del carcere, entrando in contatto con quell'umanità di persone predestinate al dolore e al sacrificio, e ne assistiamo agli impulsi di rivolta che vengono subito repressi senza pietà. Poi vediamo l'episodio, breve ma incisivo al massimo, cui prima accennavo, del terrorista che fredda brutalmente proprio quella guardia che ci era stata presentata all'inizio. A questo punto, il blocco centrale che divide nettamente in due il film: un lungo colloquio tra un sacerdote e Bobby Sands, nel corso del quale il detenuto annuncia la sua scelta di attuare lo sciopero della fame. Quel che segue è un viaggio, straziante e sostenibile a fatica dallo spettatore, nel martirio della carne da parte di Bobby. Il quale perde peso, perde vita, perde coscienza, fino a diventare un mucchietto di ossa. E si tratta di immagini davvero disturbanti, rese ancor più impressionanti dal fatto che il fantastico Michael Fassbender si è sottoposto DAVVERO ad un "lavoro" sul proprio corpo difficile persino da concepire, e che ha un suo precedente (a mia memoria) solo nel Christian Bale de "L'uomo senza sonno". Fassbender offre una performance ai limiti dell'incredibile, consegnandoci una lezione di recitazione indimenticabile. E questa prova, sommata all'altra pregevolissima di "Shame", consacra definitivamente la realtà di un interprete straordinario. Citazione doverosa anche per un altro immenso attore britannico, Liam Cunningham, qui nei panni del sacerdote che cerca, senza riuscirci, di ammorbidire la posizione di Bobby nel corso di un dialogo teso ed incalzante che conquista lo spettatore. Resta da dire di questo regista inglese dal nome singolare di Steve Mc Queen, il cui doppio sodalizio con Fassbender ha sortito due esiti meravigliosi, e non dispiacerebbe ne facesse seguito un terzo. Mc Queen è regista per molti versi originale, con un modo di girare che quasi non ha eguali. Basti pensare a certe scene mute e lunghissime, che però sono costruite talmente bene che non annoiano, sebbene fatte di gesti reiterati. Tipo la guardia carceraria che fuma una sigaretta sotto deboli fiocchi di neve, oppure quell'altra guardia che ripulisce il corridoio del carcere in una sequenza interminabile. Mc Queen è fatto così, se ne fotte delle regole. Perchè in lui resta sempre viva l'attitudine (e l'estetica) del videoartista.


Voto:10

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