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Quattro notti con Anna

Regia di Jerzy Skolimowski vedi scheda film

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La recensione su Quattro notti con Anna

di lostraniero
10 stelle

Un film di Jerzy Skolimowski; l’arte tra fantasia e realtà.

 

“Cztery noce z Ann?” è l’opera che apre l’ultima stagione autoriale del grande polacco giramondo. Viene dopo una lunga pausa, seguita all’ultimo lavoro, il “Thirty door key” del 1991 che è la personale trasposizione/trasformazione delle pagine del “Ferdydurke” di Witold Gombrowicz. Cosa ha fatto in tutto questo lungo lasso di tempo il nostro? Beh, innanzitutto ha messo a bottino la reputazione di grande istrione della settima arte, dimostrando – mostrandosi elastica maschera da caratterista di lusso – che fare l’attore può anche essere un ottimo modo per raccogliere le idee oltre che rimanere in fervido contatto con l’ambiente. L’aver prestato volto e ‘fisico del ruolo’ a buona roba di gente come Burton, Kaurismaki, Schnabel e Cronenberg, ci dice quali salotti e quali sottoscala dell’establishment ha frequentato; ha scribacchiato con il figliolo Michal una lunga serie di spunti cinematografici poi andati quasi tutti regolarmente a puttane ma, soprattutto, è tornato più volte e più regolarmente del solito in patria (lui è di Lodz, la città della famosa scuola di cinema e dei fiumi di birra aromatica che scorrono la sera nei tanti pub del quartiere Gorna).

Verso la metà del 2006, Skolimowski inizia a dare ordine e compimento ad una sceneggiatura che, come confesserà qualche anno dopo in una intervista a “Positif”, gli venne ispirata da una vecchia storia che da ragazzo aveva sentito raccontare da una sua lontana parente. Un modesto falegname di un villaggio del voivodato di Lódzkie, innamoratosi perdutamente di una donna molto più giovane di lui, aveva pensato di narcotizzarla per poterla tenere nascosta in casa. Il regista, modificando alcuni passaggi della storia ed ambientando il tutto ai giorni nostri, costruisce ben presto su questa scarna traccia narrativa una delle sue più affascinanti storie per immagini.

 


http://youtu.be/v_BfPXENopA




“Romeo è tra di noi”, la sarcastica constatazione del giudice che tenta di riannodare tutti i fili della vicenda processuale di Okrasa, punteggia la fine del film. Ne diventa il giudizio umano definitivo; lì dove tutto si confonde – da un lato – nella parte angusta di un amore senza limiti, e – dall’altro lato – nel concepimento oltraggioso di un desiderio ossessivo. Il campo che il povero crematore precario, Leon Okrasa, attraversa per raggiungere la ‘sua’ Anna, è la distanza cinematografica possibile tra realtà e fantasia; o, volendo capovolgere l’ottica del nostro sentire, il fantastico mondo dove vive l’infelicità dell’uomo ed il reale inferno della donna sono messi sullo stesso piano d’inquadratura. Una fantasia, quella di Okrasa, che è innocente nella sua macchinazione e tende a realizzare l’istinto, mentre la realtà che nega l’impeto fantastico è percorsa da regole, infrante, da relazioni, disarticolate, da eventi, traumatici, da pulsioni, bestiali, da attese, inattese. Leon appare fin dalla prima scena come la scheggia straniata di quel microcosmo, grigio e povero, ed invece ne è l’elemento ordinatore, a suo modo. Una sorta di lente, una Speed Panchro da 18 mm in carne umana che, nel suo piccolo formato penetra il vuoto della distanza freudiana tra visione ed oggetto della visione, ed inizia a coprire uno spazio maggiore (la società, i vincoli e gli eccessi), a ‘gonfiare’ il grande formato della vita dell’uomo sul pianeta Terra. Ed in un artificio così doloroso e meravigliante, anche i bordi dell’ottica vengono sfruttatti ed hanno il loro riverbero magico (la figura dell’anziana donna che lo ha cresciuto, che con la sua morte gli dà tempo ed occasione per compiere il salto husserliano, il gatto che è il guardiano della intimità di Anna ed altro ancora sparso un po’ qui ed un po’ là). Ecco quindi che, come avviene spesso nelle migliori opere del maestro polacco (penso a “Deep end”, a “The shout” e sicuramente anche al “Moonlighting” del 1982), il racconto del fare il film può diventare riflessione sul come fare un film. Una storia che, in mani altrui, sarebbe diventata un classico slapstick-drama qui trae sostegno da una tesi anarchica di fondo (la fantasia, da ristoro mentale, irrompe nella realtà e cerca di variarne il posizionamento; “Perché lei è entrato per quattro volte nella sua stanza?” chiede la Legge, “Per amore”, risponde il crematore precario), vivificata da una sintassi registica che esplora Hitchcock e lo abbandona di buona voglia per sperdersi nei mille rivoli del grande cinema polacco di sempre.

Insomma, con una carogna di mucca che galleggia ed una sirena che suona, è giunto il tempo di consegnare alle nostre pupille uno dei più grandi capolavori di questo nuovo secolo/millennio!      

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