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Che. Guerriglia

Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film

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La recensione su Che. Guerriglia

di LorCio
8 stelle

Rispetto alla prima parte, questa seconda ed ultima puntata delle gesta del Che ha connotati più struggenti, decadenti, lacerati. Asciutto come un corpo emaciato e gelido sotto il sole battente, Guerriglia ha, sin dal titolo, la veemenza della lotta senza esclusione di colpi in nome di un ideale che va al di là delle opposizioni politiche più sterili. Sempre più immerso tra l’erba alta e le fronde degli alberi, lì dove il sole è soprattutto nemico, in mezzo a uomini che hanno creduto nella rivoluzione e nel suo significato, il Che è ora un papabile-mito consapevole del proprio divenire, sconfitto dalla vita (privata, per certi versi) e proiettato verso la consacrazione della lotta. Soffre come un cane, ma in fondo, per dirla alla De Gasperi, è uno statista (cioè pensa al futuro e non a vincere le elezioni). Benicio Del Toro, ancora una volta, gli dà l’anima, il cuore, la paura grazie ad un lavoro mostruoso di sintesi tra immedesimazione e giusta distanza. Con Guerriglia, Soderbergh recupera uno stile più decadentista (la fine è nota), tingendo la tela di tonalità soffuse, disperate, quasi alienate. Più de L’argentino, questa seconda parte è maggiormente in simbiosi con il protagonista: non è soltanto il testamento (involontario, da parte degli autori) spirituale del Che (ogni scena sprigiona un messaggio, un insegnamento, una massima del personaggio – lui immagina il suo destino, lo previene, lo rassicura), tra ramanzine a nuove leve fin troppo aggressive ed attive e delusioni amicali (in fondo, tal’è Castro) e così via. Rovinoso nel suo smarrirsi, catartico con angoscia, è un film quasi religioso, nel senso più nobile del termine (il rispetto della pietas, la memoria del perdono, la possibilità di ricominciare), che conferma il suo intento di realizzare un racconto di formazione etica e civile, Guerriglia ha la passione lacerata dell’Uomo ferito a morte che si accompagna all’atto conclusivo. In un’immensa solitudine. Come solo è l’uomo, mesto, abbandonato e colpito, destinato alla condanna estrema dal fuoco brutale della violenza reazionaria. È doloroso il suo morire dentro, in un discendente climax di emozioni allucinate, al di là del bene e del male

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