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E venne il giorno

Regia di M. Night Shyamalan vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su E venne il giorno

di ROTOTOM
4 stelle

L’arte del nulla applicata al cinema.
Un giorno gli umani decidono di sfoltirsi, autonomamente. Nei modi più curiosi e crudeli. I superstiti fuggono da qualcosa che non conoscono: la natura. La natura descritta da Shyamalan è ribelle e conscia di esserlo, lucidamente letale in accordo al primordiale istinto di sopravvivenza che regola normalmente le creature senza favella. O così si presume. La natura di Shyamalan è quella di creare tensione dal nulla, giocare lento sull’accumulo, montare disagio. E qui di nulla c’è n’è in abbondanza, dove l’accumulo ben presto si normalizza e il disagio si sgonfia come un soufflè troppo carico di aspettative. La società si disgrega fino alla cellula base, la famiglia, unica via di salvezza, così al dramma di morale ecologica si affianca e si nutre il messaggio di cristiana salvaguardia dell’unica struttura sociale accettabile e consentita. L’uomo è una minaccia, dice il film, soprattutto per sé stesso che tende ad autodistruggersi, anche se tutto il plot spinge alla happy reunion della famiglia in via di disgregazione. Ma Mark Wahlberg è un uomo di scienza tutto d’un pezzo e lei è Zooey Deschanel, dagli occhioni languidi, in crisi, che confessa di aver preso un gelato con un altro uomo……beh, l’intento di non affondare il coltello nella piaga scomoda e – diciamolo- antieconomica al botteghino, di esseri umani con pulsioni peccaminose proprie degli esseri umani, delegando tutta la tensione ad un nemico invisibile che ne giustifichi il pentimento, è chiarissimo. E retorico. Spaventare senza mostrare, turbare senza turbamenti, la continuazione negazione del controcampo alle spaventate facce dei sopravvissuti che assistono all’apocalisse e che quando quest’ultimo viene svelato altro non è che una massa d’alberi scossi dal vento. ” E venne il giorno”, mutuato da un brutto racconto di Stephen King, The Happening, è un film che troppo chiede alla sospensione dell'incredulità dello spettatore, sfidandolo ai più improbabili salti mortali per restare aggrappato alle liane della verosimiglianza come dei piccoli tarzan e quando tutto si risolve ci si sente un po’ tarzanelli.
Shyamalan rinuncia alla costruzione ad imbuto del racconto, evitando il finale “a chiave di volta” che sostiene il peso degli antefatti, meccanismo che ne ha sancito le fortune soprattutto con i suoi migliori film “Il sesto senso” e “ The Village”, cercando di impostare la tensione sull’angoscia, l’incombenza della catastrofe che monta sui personaggi, il senso di impotenza dell’uomo e della sua scienza, come giustamente ribadisce il buon uomo razionale Mark Wahlberg alla sua classe, contro i capricci della natura. Tuttavia, a parte qualche scena azzeccata di suicidio “bizzarre” e un incipit oggettivamente accattivante, il senso ultimo (che non è il sesto) dell’operazione non va del tutto a buon fine. La banalità prende il sopravvento, l’impianto drammatico cede alla tentazione della spiegazione degli eventi che con troppa faciloneria trovano una collocazione giustificativa di una catastrofe che dovrebbe essere incomprensibile, perdendo quel pathos che avrebbe dovuto muovere le azioni dei protagonisti. E’ noto che il mostrare il mostro azzeri del tutto quell’angoscia che l’attesa del mostro muove nel profondo delle paure ancestrali dell’animo umano, cosa che accadeva in “Sings” . In questo film, non essendo filmabile il mostro, ancora più deludente risulta l’arzigogolato susseguirsi di sperticate teorie di “complotto naturalistico “ ai danni dell’uomo da parte delle piante. E’ un po’ troppo. A questo si aggiunga una non felice performance degli attori, non tanto di Mark Wahlberg il cui personaggio è per una volta meno improbabile dello script che interpreta e quindi passabile, quanto indecorosa è la prova della liquida Zooey Deschanel che tumefatta in una espressione ebete per tutto il film, sgrana gli occhioni viola tentando la via della commozione che si sospetta sia solo cerebrale. “E venne il giorno” è quindi fantascienza di serie B anni ’50, solo più supponente, sorretta dall’autoreferenzialità del suo autore che ormai si autocita componendo spartiti “à la Shyamalan”, come marchio vuole che sia, come natura crea. E a volte distrugge.

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