Espandi menu
cerca
Caccia spietata

Regia di David Von Ancken vedi scheda film

Recensioni

L'autore

scapigliato

scapigliato

Iscritto dall'8 dicembre 2002 Vai al suo profilo
  • Seguaci 137
  • Post 124
  • Recensioni 1361
  • Playlist 67
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Caccia spietata

di scapigliato
8 stelle

Un grande western. Un vero film. Di quelli che sanno di terra e sudore. Di quelli in cui il fottuto effetto digitale è sostituito dalla plasticità dell’aderenza naturalista. Uomini giù dalle cascate, a ruzzoloni nella neve, feriti e martoriati in più punti, affamati, abbruttiti dalla sete, sfiancati, e tutto senza concedere un passo falso. Una sceneggiatura che premia il rigore narrativo, compatto e ritmico, e che solo sul finale si concede sprazzi di visionarietà e nemmeno di poco conto. Forse inopportuna l’intrusione surreale di Anjelica Huston, necessaria e funzionale quella di Wes Studi. Ma alla fine, quello che abbiamo davanti è un esempio di come il western sia ancora oggi efficace, e se fatto come Dio comanda può diventare qualcosa di importante per una cultura intera. Il film di David Von Ancken, a cui vanno metà dei meriti del film, è semplicemente la riproposta western di un eterno motivo narrativo che può diventare anche tema centrale della narrazione se a modularlo è il motivo stesso dilatato lungo tutta l’opera: l’uomo contro l’uomo, in natura, ad armi pari, nudi e spogli di tutto, messi alla prova contro sé stessi riflessi nell’altro. I due uomini in questione hanno qui i volti di Pierce Brosnan e di Liam Neeson. Il primo scappa, fugge rocambolescamente senza nemmeno sapere il perché. Il secondo insegue, talloneggia, non arretra mai di un metro, e sa perfettamente perché vuole morto quell’uomo. Ma mentre Liam Neeson solo alla fine fa davvero parte dell’iconografia selvaggia del film, Pierce Brosnan fin da subito si conferma un attore di razza, di quelli duri e puri, che sembra essere capitato nei panni di James Bond solo per sbaglio. É un vero uomo delle nevi, un iron-man dal passato oscuro che mai conosceremo, di cui intuiamo solo l’assenza di un figlio, forse anche tragica assenza, ma nulla più. Fin dalla prima scena il suo personaggio, Gideon, ci entra dentro, ci strappa la pelle e s’immerge in noi con la forza selvaggia dell’uomo in natura, animalesco. Sembra che l’attore abbia passato molto tempo con dei lupi o con degli orsi tanto si muove a suo agio nella silva terribilis del nordamerica. Dalle montagne innevate, ai grandi pascoli, fino al temutissimo deserto di terra secca che sarà teatro vero e proprio della resa dei conti finali, assaggiata già prima in un’altra porzione di mondo western che è il deserto brullo di arbusti secchi. Un personaggio di davvero pochissime parole che vive e giganteggia grazie alla performance di Brosnan: un’interpretazione dura, ruvida, peckinpahniana. Liam Neeson invece si forma, cresce lungo l’arco del film per arrivare alla fine anche lui in grazia di Dio. Ma Pierce Brosnan toglie letteralmente il fiato.
Intuizioni visive azzeccatissime, una fotografia lontana anni luce dai giochi cromatici di oggi, scene d’azione secche, plastiche, che sanno di terra. Il film, grazie a queste esemplari scelte registiche, ci accompagna in una sfida dualistica di cui non riusciamo a capire gli estremi. Il cattivo è davvero colui che insegue? O lo è colui che fugge? Lo sono entrambi? O entrambi sono vittime del destino? Grazie alla sceneggiatura il dilemma moderno resta immutato fino alla fine e gli equilibri umani dei personaggi solo qui al capolinea sono svelati e risemantizzati, per mutarsi poi nuovamente. Un’allegoria fin troppo chiara della stupida, assurda, cieca e inutile perpetuazione della guerra. Due uomini che non si danno pace e che continuano a farsi le scarpe a vicenda, senza forse una vera motivazione. E se questa motivazione ci fosse, non varrebbe la pena di tanta sofferenza fisica. Con “Seraphim Falls”, titolo originale di questa “Caccia Spietata”, Brosnan e Neeson fanno meglio di Bronson e Marvin, anche se il paragone mi permetto di dirlo io stesso, è parecchio blasfemo. Ma non si può nascondere come i due attori, gli ambienti deuteragonisti impassibili e l’ispirata regia, creino alla fine una parabola di difficile digestione, ma disarmantemente necessaria. I caratteri in gioco, infatti, sono gli stessi, i medesimi, precisi e uguali caratteri. Non due estremi, ma due sfumature della stessa direzione. Un film che in tempo di guerra farebbe cagare in mano il guerrafondaio, e che in tempo di pace traviserebbe la bile a un santo. Nel deserto di sale, ecco che l’uomo a nudo, isolato dalla civilità ed immerso nel magma primordiale, riflette la sua condizione di animale. Tende alla pace e all’armonia, ma avverte e poche volte frena il suo istinto rapace e guerriero. Grande film, grande allegoria, grande apologia del perdono.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati