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Hellboy II. The Golden Army

Regia di Guillermo Del Toro vedi scheda film

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La recensione su Hellboy II. The Golden Army

di ROTOTOM
6 stelle

Torna Hellboy, il complementare di Hulk o di Shrek visto il fondo di ironia che lo muove, rosso inferno e corna mozze a santificare il talento visivo di Guillermo Del Toro, protetto di Peter Jackson giusto prima di imbarcarsi nell’avventura-confronto con il suo pigmaglione de Lo Hobbit, quasi uno spin off de Il signore degli anelli.
Al soggetto e alla consulenza in genere, Mike Mignola, creatore del demone resuscitato dai nazisti e adottato e reso partecipe delle brutture degli umani dalla parte giusta del mondo, mondo che difende a spada tratta. Hellboy è sempre Ron Perlman, da sempre avvezzo alle parti da faccia da schiaffi o goffe creature dotate di anima esclusiva, santificata da altri talenti visionari, Jeunet / Caro e Jean Jaques Annaud su tutti, tutto sigaro birra e cinturone con mega - pistola dal calibro imprecisato, trench militare e sorriso sornione, il tutto frullato in un mix tra il Tenente Colombo, Dirty “Eastwood” Harry e Bogart così da risultare personaggio assolutamente originale tra la pletora dei supereroi scaraventati su grande schermo. Il film è una fiaba action, dark, esplosiva e ironica ma sempre fiaba è, mutuata dall’immaginario horror di G.Del Toro, pantheon paramitologico composto da strane creature, mutanti e Trolls del sottosuolo pronti a dare battaglia agli umani grazie ad una invincibile armata d’oro dormiente e silente. Trama semplice e anabolizzata dalla cultura pop dei fanta-action più o meno recenti il che chiarifica di cosa si sia cibato insieme al pane per quasi tutta la vita il buon Guillermo Del Toro, riferimenti che abitano la coscienza fantasy collettiva di una generazione di divoratori di fumetti e un certo genere di blockbuster originali e pensanti che formano il pubblico di riferimento del film. Sfilano così accenni di comicità Man in Black nei corridoi segreti del Dipartimento per la Ricerca sul Paranormale e la Difesa; il senso di (non) appartenenza da parte di Hellboy e i suoi amici ad una razza definita, sempre in bilico tra il mostro e l’umano e nascosti sia agli uni che agli altri, tipici della razza mutante di X-men. Sfilano le leggiadre e fantasiose creature del Labirinto del Fauno dello stesso Del Toro nelle fattezze dinoccolate e morbide di Abe Sapien il mutante acquatico, con le sue mani occhiute, che ha lo stesso portamento saggio educatamente dinoccolato del robot aureo di Guerre stellari R2-D2. Guerre Stellari che vengono aggiornate e riscritte nella location del mercato dei Trolls che tanto rimanda alla locanda stellare del primo episodio, fumosa e zeppa di creature bizzarre. Ed ancora i combattimenti tra Nuanda il principe ribelle e il prode demone vermiglio, hanno gli stilemi e le coreografie complesse dei recenti Wu-xia, se non addirittura rimandare ancora agli ultimi episodi di Star Wars nella figura atletica e mortale di Darth Maul. Un qualsiasi nerd sociopatico potrebbe estrarne ancora bizzeffe di questi riferimenti. Il senso di deja vù però non stona, non annoia affatto anzi, quello che contraddistingue e diversifica Hellboy dagli altri cinefumettoni è il non prendersi mai sul serio, filtrando tutto attraverso l’ironia del personaggio principale e dello script che usa ogni stratagemma possibile per stupire e divertire, compreso il rallentare l’azione a favore di divertenti duetti tra gli interpreti. Hellboy e Abe Sapien che sbronzi cantano canzoni d’amore; la ragazza di Red-Hellboy, Liz Sherman (Selma Blair) che se s’incazza s’accende come la Torcia Umana (altro riferimento all’iconografia dei supereroi) ma che ama il suo Demone più di qualsiasi cosa al mondo (e che con la rivelazione finale apre e moltiplica ogni possibilità per eventuali sequel); la rivalità con il teutonico professor Johann Krauss “con due esse finali” (si certo, SS…) ectoplasmatico e capace di interagire con qualisiasi macchinario come C-3Po….e così via, ma senza mai perdere quella coerenza narrativa e quel pathos che definisce in modo complesso il mondo “di sopra”, quello degli umani, a quello “di sotto”, delle creature “infernali” , mondi dei quali Hellboy non fa completamente parte, essendo contemporaneamente inviso e temuto in entrambi. Anche se sembra che non gliene freghi un granchè, Ron Perlman dona al suo personaggio la regale e seducente aura del dannato dal cuore buono tutto difetti e onestà del loser nei noir alla Marlowe. Aggiornato all’immaginario fantasy pop di nuova generazione, s’intende.
Diciamo che il tutto funziona un po’ come in Roger Rabbit: gli interpreti del film sembrano consapevoli di girare una finzione perché sono eroi di cartone, sono star, sono attori. Ecco, il successo di Hellboy è proprio questo: non sono mostri, è che li disegnano così.

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