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Il Divo

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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La recensione su Il Divo

di cheftony
8 stelle

Nel corso degli anni mi hanno onorato di numerosi soprannomi: 'Il Divo Giulio', 'La prima lettera dell'alfabeto', 'Il gobbo', 'La volpe', 'Il Moloch', 'La salamandra', 'Il papa nero', 'L'eternità', 'L'uomo delle tenebre', 'Belzebù'. Ma non ho mai sporto querela. Per un semplice motivo: possiedo il senso dell'umorismo.

Un'altra cosa, possiedo: un grande archivio, visto che non ho molta fantasia. E ogni volta che parlo di questo archivio, chi deve tacere, come d'incanto, inizia a tacere.”

 

Italia, 1991: Giulio Andreotti (Toni Servillo) è Presidente del Consiglio dei Ministri per la settima e ultima volta, a quanto pare addirittura la volta di un governo più fragile dei precedenti di cui era stato a capo; la Democrazia Cristiana è infatti in coalizione con un Partito Socialista indebolito dallo scandalo di tangenti che ha travolto il suo segretario Craxi e il governo scricchiola a causa delle indagini della Magistratura sulle connessioni fra Stato e mafia, sui finanziamenti illeciti, sugli omicidi degli anni del terrorismo.

Proprio Andreotti è il filo conduttore di tutte queste trame.

Mentre l'on. Paolo Cirino Pomicino (Carlo Buccirosso) salta a destra e a manca per cercare appoggi per una candidatura al Colle di Andreotti e per mantenere salde le alleanze, 'Il Divo' Andreotti riceve avvisi di garanzia che gli contestano i reati di associazione per delinquere e l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli (Lorenzo Gioielli).

Con le consuete impenetrabilità e tagliente ironia, Andreotti va incontro ad un processo in cui negherà ogni accusa imputatagli, nonostante le rivelazioni dei pentiti di mafia, a cui si contrapporrà dopo anni di segrete collaborazioni...

 

Il quarto lungometraggio di Paolo Sorrentino è quello più coraggioso, che ne sancisce il ruolo di principale speranza del cinema italiano e che riscatta la prova non brutta ma fondamentalmente indecifrabile de “L'amico di famiglia”.

Il Divo” ha fatto discutere com'era ovvio che fosse, visto che il protagonista del film è uno degli individui più controversi e che più hanno lasciato un segno nella storia del nostro Paese, quel Giulio Andreotti gobbo e misterioso che eppur sembrava immortale e che ha lasciato la vita terrena solo nel 2013.

Se delle nefandezze di cui fu (f)autore o complice Andreotti lo spettatore ben sa, agevolato o meno dalle vistose didascalie storiografiche in rosso acceso (ma saranno sufficienti per far comprendere appieno la materia ad un pubblico giovane, futuro o straniero?), il discorso si sposta sullo stile con cui il regista e sceneggiatore partenopeo ha voluto fare questo ritratto tutt'altro che ossequioso: Sorrentino non rinuncia a carrellate e virtuosismi vari ma li adopera stavolta in piena funzione di enfatizzare la narrazione, spesso sopra le righe fino ad avere toni ed episodi grotteschi; carattere, quello grottesco, accentuato dalla profusione di battute (vere e attribuite che siano) di un cinismo così pungente e così poco democristiano di Andreotti e dalla colonna sonora, frutto del lavoro ancora una volta di Teho Teardo misto ad opere di musica classica e a pezzi cardine del commerciale e del kitsch quali "Da da da” dei Trio e la più recente “Loop loop” dei Cassius. Il rischio di fare un ritratto caricaturale e non maligno è forte, ma non oltrepassa mai la decenza che si conviene al tema e al personaggio.

Proseguono inoltre le collaborazioni eccellenti e consuete con il direttore della fotografia Luca Bigazzi e con un Toni Servillo interprete enorme, straordinario e maniacale, attorno a cui gira innegabilmente tutto il film grazie ad un ritratto al contempo fedele e surreale dell'Andreotti quotidiano, privato e pubblico. Parte del merito deve per forza andare comunque ad un regista che riesce ad estrarre il massimo dai suoi attori, anche dagli “insospettabili” come Buccirosso o Ralli, noti perlopiù come attorucoli da film di Vanzina.

Qualcosa ne “Il Divo” poteva di certo andar meglio: il coro di personaggi storici che attorniano Andreotti non hanno grande spessore neppure nell'ambito del film, senza contare che Sorrentino fa intravedere segni ormai evidenti di una sua tendenza al ridondante, all'estetica da videoclip, all'invadenza da spot televisivo.

Ma fa lo stesso: Sorrentino estrae dal cilindro un'opera insolita, né strettamente biografica né di denuncia, stilizzata e chiassosa, “piena” nella forma e nella sostanza, all'insegna della spettacolarizzazione di uno dei temi più anti-spettacolari immaginabili: la fenomenologia clerical-democristiana al suo apice.

 

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