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Il Divo

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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La recensione su Il Divo

di giancarlo visitilli
8 stelle

“Se non potete parlare bene di una persona, non parlatene”. Ha ragione la madre di Giulio, l’uomo più ‘divo’ d’Italia. L’ha capito anche Sorrentino: non poteva azzardare, inventare, tergiversare, sulla Storia, quella che nessuno storico, o addetto alla storiografia, avrebbe il coraggio di raccontare o scrivere, pena la messa in onda, la non pubblicazione dell’opera.
Ed eccoci qui con un’opera d’arte, di cui s’è scritto già tanto, ma ancora troppo poco s’è assimilato. Il Divo di Paolo Sorrentino, finora la sua opera più matura, il suo capolavoro, è un film che dovrebbero vedere tutti: a scuola, in casa, nelle comunità d’ogni sorta, finanche in Parlamento, perché la storia non è più quella del ‘caimano’ o dei ‘cadaveri eccellenti, ma dell’’amico di famiglia’, quello con cui noi italiani abbiamo e facciamo ancora “pappa e ciccia”.
Il racconto del regista ha la stessa valenza della pop-art di Warhol. Uno stile personale, riconoscibile. I titoli di testa e le inquadratura, per buona parte dei primi dieci minuti di film, sono semplicemente sballo, goduria, emozioni. Grandissimo cinema. Si può fare di un errore un orrore? Si. Sorrentino, intorno alla figura del senatore a vita, ai tempi del suo settimo e ultimo governo, costruisce l’orrore di un popolo che, nonostante abbia imparato a memoria il glossario italiano (Loggia P2, Brigate Rosse, Aldo Moro, ecc.), vive ancora nell’ombra della morte e delle tante morti che ancora s’hanno da fare. In nome della democrazia, che poi Democrazia non é.
E’ un film, questo di Sorrentino, che sta a dimostrare come non siano bastati il cinema civile di Rosi e il coraggio di Petri per raccontarci. Perché Sorrentino non parla più, o solo, del passato. E’ racconto del presente: tutto ciò che avviene, ci appartiene. Perciò, insieme al governatore, avvertiamo le emicranie, ci raggiriamo insieme a lui, ma con un atteggiamento senz’altro differente, quando danziamo alla presenza di spettri come Moro, Pecorelli, ecc. Si tratta di una danza che si fa marcia. Funebre. Come quando in una assolata Roma, la sua scorta, lo accompagna, lo segue, lo preserva, come un’urna preziosa.
L’uso serrato della macchina da presa, fa solo da cornice all’altissima interpretazione di Sorrentino (capace di recitare col solo battito delle ciglia) e la sua (ri)lettura, grottesca, della vita dell’”uomo più perseguitato d’Italia”, capace di essere imitato dall’attore fin nell’uso meccanico della voce. Straordinarie le musiche, che meriterebbero un commento a se stante (dall’inizio al finale spiazzante con la spiazzante canzone dei Trio), insieme all’eccellente fotografia di Bigazzi, capace di essere più reale dello sguardo di cui siamo tutti capaci.
Tante le battute che meriterebbero di essere menzionate, qualcuna, sicuramente potrebbe rientrare a far parte della storia, non solo del cinema: “De Gasperi e Andreotti andavano in chiesa insieme. De Gasperi parlava con Dio, Andreotti col prete” e la relativa risposta del Divo: “I preti votano, Dio no!”. E poi tanto imbarazzo, specie quando si racconta dell’intimità della vita del senatore, quando con la moglie Livia stanno guardando insieme la tv e hanno un momento di sincera tenerezza mentre sullo schermo ci sono le immagini del concerto di Renato Zero che canta “I migliori anni della nostra vita”. Stesso imbarazzo, quando il divo fa il distributore di pacchi, rende onore e merito a chi ha messo una ics sul suo nome e lo ha omaggiato per la settima volta presidente del parlamento.
Orgiastico, spudorato, realistico. Il film di Sorrentino è una pagina di storia che a pieno titolo rappresenterà per sempre il “made in Italy”, al positivo (nell’arte cinematografica), al negativo (perché questo è realmente il nostro paese). Non resta che ammettere “Soorentino: santo subito!”.
Giancarlo Visitilli

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