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Il grande racket

Regia di Enzo G. Castellari vedi scheda film

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La recensione su Il grande racket

di Baliverna
6 stelle

Una banda di sadici criminali terrorizza, impunita, Roma, e l'unico poliziotto degno di questo nome tenta di fermarli. Pane per i denti per Enzo Castellari, regista che si compiace di rappresentare la violenza.

Renzo Castellari è un cineasta che di solito evito, perché è il regista della spettacolarizzazione della violenza (cosa che avviene anche in questo caso). Mi riferisco a ralenti, zoom, e ad altre tecniche per enfatizzarla. Benché non lo definirei un bel film, è forse comunque uno dei suoi esemplari migliori, di cui non ho abbandonato la visione. La crudezza, e persino il sadismo di alcune scene lasciano infatti il posto ad alte sequenze di discreti dialoghi, qualche annotazione sui personaggi, e momenti d'azione non male. Ciò mi ha sostenuto mentre vedevo crudeltà assortite, suicidi e stupri degni di Arancia Meccanica, facendomi arrivare fino alla fine. Oltre a ciò, è abbastanza evidente che la banda di taglieggiatori non è composta da criminali senza scrupoli e basta, ma da loschi figuri che sembrano dei veri sadici, i quali godono ad uccidere, torturare e stuprare le loro vittime. Compresa una donna abbastanza inquietante.

Fabio Testi – piccolo divo del cinema popolare italiano anni '70 - dà un un'interpretazione non male, e anche gli altri se la cavano discretamente. In una parte secondaria vediamo Glauco Onorato, cosa che non accade tanto spesso. L'attore, infatti è uno dei migliori e più quotati doppiatori italiani, ma come attore è riuscito solo a rosicchiare ruoli secondari e poco appariscenti, più o meno come questo.

Sullo sfondo della vicenda vediamo il tema molto popolare all'epoca – evidentemente non senza motivo – dell'aumento della criminalità e dell'inettitudine della polizia nel perseguirla, tra iper-garantismo, pavidità, scartoffie e avvocati azzeccagarbugli. In questo scenario, si dibattono poliziotti che provano ad usare mezzi più spicci e altre persone che praticano la giustizia (o meglio vendetta) privata. Il poliziotto protagonista qui si ritrova in entrambi questi ruoli. In filigrana, poi, c'è il tema politico, tra eversione di destra e di sinistra. Va detto, però che queste tematiche compaiono qui n modo un po' grossolano e semplicistico. Del resto, le sceneggiature fini non sono alla portata, e forse nemmeno appannaggio, degli sceneggiatori dei polizieschi italiani di quel periodo.

Rilevo, infine, che la sparatoria finale tra i vagoni merci è il calco esatto, fin troppo evidente, di una sparatoria western.

Consigliato agli appassionati del genere, ed a chi ha almeno un po' di pelo sullo stomaco.

 

 

 

 

 

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