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Kung Fu Panda

Regia di Mark Osborne, John Stevenson vedi scheda film

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La recensione su Kung Fu Panda

di FilmTv Rivista
8 stelle

Il film di Mark Osborne e John Stevenson è una rilettura puntuale della parabola dei classici di arti marziali prodotti su larga scala a partire dalla fine degli anni 60 dai fratelli Shaw e identificati sostanzialmente con la poetica di due registi complementari e diversissimi tra loro come Chang Cheh e Lau Kar-leung (Liu Chia-liang). In questi film l’ultimo tra gli ultimi riusciva o a vendicarsi (nel caso di Chang Cheh) o a riscattare se stesso (Lau Kar-leung) passando attraverso un durissimo apprendistato che ovviamente coincideva anche con una profonda metamorfosi esistenziale. In genere nelle saghe di Chang Cheh l’eroe non viveva abbastanza per essere celebrato come tale (solitamente finiva sbudellato sotto i colpi di centinaia di nemici). In quelli di Lau Kar-leung, molto meno cruenti e più rigorosi dal punto di vista spirituale e marziale, il film terminava quando per l’eroe inizia una nuova vita. Kung Fu Panda in questo senso è più vicino alla poetica di Lau che a quella del regista di Mantieni l’odio per la tua vendetta. Ciò che diverte e intriga, anche se lo schema è evidente sin dalle prime inquadrature, è l’inversione del processo della cartoonizzazione implicito nelle derive più recenti del cinema di arti marziali. Laddove da Matrix in giù si corteggia l’incorporeità digitale, Kung Fu Panda è come se tentasse di ipotizzare una digitalità fisica: tangibile. In questo modo è come se la fabula analogica, il processo di formazione, e la messinscena digitale si scrutassero con reciproco divertimento. Efficace l’idea di incarnare in animali come la tigre, la scimmia, la vipera e insetti come la mantide altrettanti stili di combattimento che negli anni 70 vivevano all’ombra di titoli evocativi come Snake in the Eagle’s Shadow o Mad Monkey Kung Fu esplicitando così il sostrato fantastico del genere. Senza contare che il prologo onirico bidimensionale non solo omaggia in una manciata di minuti tutto il cinema di Chang Cheh ma rimanda anche alle fantasmagorie marziali di Leinil Yu e Frank Miller.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 35 del 2008

Autore: Giona A. Nazzaro

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