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Regia di Rodrigo Plá vedi scheda film

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La recensione su La Zona

di mc 5
8 stelle

Nanni Moretti, con la sua "Sacher Film", ha evidentemente l'occhio lungo se, dopo quella pellicola notevole che era "Meduse", ora distribuisce in Italia questo film accolto dalla critica con entusiasmo pressochè unanime. In realtà si tratta di un'opera prima firmata dal messicano Rodrigo Plà, ma è un debutto davvero col botto, data la potenza e l'estrema durezza di sguardo di questo piccolo grande film. Lo scenario è allucinante: una Città Del Messico nettamente divisa in due e, sinceramente, non ho capito se questa è una forzatura (magari parziale) di sceneggiatura o se le cose stanno davvero così anche nella realtà. Si parla di una metropoli che ospita una città nella città, totalmente blindata e videosorvegliata, dove risiedono le ville dei cittadini benestanti e, tutt'intorno, la moltitudine dei dannati, dei miserabili, degli indigenti. E questa "oasi" sembra quasi una piccola Svizzera, elegante, curatissima, coi prati tenuti perfettamente, con scuole esclusive, ed ovunque segnali di ordine. Ma una volta varcata la porta di accesso e lasciato alle spalle quel paradiso irreale, si entra nell'inferno delle favelas, delle case fatiscenti e della gente che vive di espedienti. E tutto questo è descritto con un realismo e una tensione da pelle d'oca. Tre di questi "dannati", in una notte in cui un furioso temporale ha messo fuori uso l'impianto di videosorveglianza, decidono di penetrare nella città blindata per realizzare un "colpo" in una villetta. L'impresa però ha esito drammatico e due di loro vengono freddati dai residenti dopo che hanno ucciso la proprietaria della villa. Il piu' giovane dei tre, sopravvissuto e in preda al panico, si dà alla fuga, ma è come un topo in trappola. E questo non è che il prologo del film, che si dipana in modo sempre piu' teso e drammatico fino ad un epilogo sconvolgente che non lascia spazio ad alcuna ipotesi consolatoria. La macchina da presa segue questi cittadini benestanti e ne testimonia questo loro spirito giustizialista che individua nella Legge e nella Polizia solo dei fastidiosi ostacoli che vanno in qualche modo aggirati e superati, evidenziando un cinismo e un senso dell'"onore del gruppo" che ha qualcosa di tribale che mette i brividi. Si ha come la sensazione che gli egoismi localistici, la strenua difesa dei privilegi, il senso sacro della proprietà, tutto ciò venga amplificato e diventi Legge a sè stante, una sorta di Statuto Speciale che costoro esigono e pretendono in quanto "civiltà superiore" rispetto alla feccia dei miserabili. In pratica è la barbarie che tenta di imporsi come realtà intoccabile che prescinde da qualsiasi Legge scritta, giustificata proprio in quanto reazione alla delinquenza. Come si può intuire, c'è qualche esasperazione di sceneggiatura, ma i temi trattati sono attualissimi ed autentici, soprattutto in quelle metropoli occidentali dove (ormai quasi tutte) la forbice tra benestanti ed indigenti si allarga sempre di piu', generando sacche di disperazione e di potenziale deliquenza sempre piu' vaste. La vicenda, narrata coi toni di un thriller ansiogeno, si accompagna dunque ad un tema forte che implica risvolti sociologici importanti: non male per un giovane regista al suo debutto nel lungometraggio. Unico emblema di speranza un poliziotto testardo ed integro che vorrebbe far luce e ristabilire una verità dei fatti, ma anche lui viene ridotto all'impotenza e piegato da un regime corrotto a cui non si sfugge (a dire il vero questo bel personaggio a un certo punto viene dimenticato ed abbandonato dalla sceneggiatura). Bravissimo Plà a raccontarci quest'umanità privilegiata arroccata in difesa di sè, questi uomini convinti, in virtu' del potere assoluto conferito loro dai soldi, di non dover rendere conto a nessuno. E anche i loro rampolli hanno già in sè i germi di questa mentalità. Concludo con due piacevoli sorprese riscontrate. Sui titoli di coda, quasi in contrasto con l'estrema durezza della pellicola, viene proposto un gradevolissimo brano in stile "patchanka" interpretato da un personaggio di cui si erano perse le tracce e che ebbe qualche anno fa un breve momento di popolarità discografica anche qui da noi: il "sergente" Bruno Garcia. Ma la sorpresa piu' bella è stato riconoscere, tra quei volti di borghesi feroci, il bel viso (intenso e magrissimo, quasi ossuto) di una delle mie attrici preferite, la madrilena Maribel Verdu', che già avevo apprezzato nel "Labirinto del fauno" di Del Toro e che prossimamente vedremo nel nuovo film di Coppola.
E vorrei concludere con una riflessione personale sul tema portante del film, che ci terrei a condividere con chi mi sta leggendo...Fino a qualche tempo fa, vedendo un film del genere non avrei potuto fare a meno di richiamare alla mente Charles Bronson e le sue "giustizie notturne". Ora invece, vedendo le stesse scene e situazioni, la mia mente va ai comizi di Borghezio o alle sparate di certi sindaci leghisti. Se i riferimenti che vengono spontanei sono questi ultimi, qualcosa vorrà pur dire.
Voto: 10

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