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Star Trek - Il futuro ha inizio

Regia di J.J. Abrams vedi scheda film

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La recensione su Star Trek - Il futuro ha inizio

di Indy68
10 stelle

“(…) Dunque: perché ancora Star Trek? Forse la verità è che ho sempre considerato l’Enterprise ed il suo equipaggio come un microcosmo che esprime il mio modo di vedere la terra e l’umanità. Forse noi non siamo davvero così, ma a me sembra che così dovremmo essere. Nei suoi viaggi l’Enterprise ha sempre dimostrato non solo rispetto e tolleranza per ogni altra forma di vita e ideologia ma molto di più, ha saputo mostrare amore per le quasi infinite varietà presenti nell’Universo. Questa capacità di amare ogni cosa mi è sempre parsa il primo segno che un individuo od una razza sono ormai vicini all’età adulta (…)”
Così scriveva Gene Rodenberry, l’ideatore, il ‘padre’ della saga di Star Trek, nella prefazione alla novelization del Film di Robert Wise del 1979 che riprendeva i personaggi dell’equipaggio dell’Enterprise qualche anno dopo il termine della famosa missione quinquennale le cui avventure vennero narrate nella serie televisiva andata in onda sulla TV americana con alterne fortune nella seconda metà degli anni ‘60.
L’idea in origine, era stata quella di girare una seconda serie di telefilm, ma si decise poi di sfruttare il materiale a disposizione per una o più pellicole cinematografiche. In seguito al film del ’79 vennero poi girati altri cinque film cosiddetti della ‘serie classica’, altre quattro serie di telefilm (Next Generation Deep Space Nine, Voyager, Enterprise) e altre quattro pellicole cinematografiche che riprendono temi e personaggi della ‘next generation’. Mentre il mondo di Star Trek espandeva i suoi confini sempre più grazie al contributo artistico di tanti autori e artisti, il successo commerciale (mai travolgente al cinema) e il gradimento del pubblico, dopo il picco raggiunto con la next generation è andato sempre più calando. Fino a relegare in un temporaneo oblio la fiction fantascientifica più celebre della storia.
A distanza di circa 30 anni dal primo rilancio del marchio ‘Star Trek’, J.J. Abrams ci riprova. Il proposito è quello di ridare nuova vita cinematografica all’universo trekkie ripartendo da quei personaggi (Kirk. Spock, McCoy, Scotty, Uhura, Cechov e Sulu) e dalle loro origini ma riscrivendole.  A lavoro finito, le parole di Rodenberry rilette oggi, paiono attagliarsi bene, anche al lavoro di Abrams il che equivale a dire che l’impresa è riuscita: Abrams ce l’ha fatta e il mondo di Star Trek ha ritrovato la sua più autentica anima.
Ma come c’è riuscito?
Abrams è abituato a lavorare con un team di fidati collaboratori, più o meno fissi. Così, anche in questo caso, il Crew che si occupa di realizzare il film è di alta professionalità e competenza anche nel settore sci-fi: i due sceneggiatori (Orci e Kurtzman) hanno già collaborato con Abrams per la serie Tv ‘Alias’ e sono responsabili anche degli script di ‘Transformers’ e ‘The Island’. Il produttore, Damon Lindelof,è stato al fianco di Abrams per la serie ‘Lost’.
Tutti loro hanno già dimostrato quindi di essere abili a confrontarsi con contenuti e regole di una creazione artistica già solidamente strutturata, complessa e stratificata oltretutto gelosamente tutelata da uno stuolo di fan accaniti, appassionati e attenti.
Paiono quindi adatti, perchè, pur rispettando l’identità della saga, riescono a introdurre delle novità assolute che comunque si armonizzano bene con la tradizione.
Infatti, se lo Star Trek di Abrams può essere giudicato come un’opera paradigmatica della produzione del cinema di genere degli ultimi anni, quale apoteosi dello stile derivativo, è perchè oltre a costituire l’ultima estensione di questo universo sviluppatosi a partire dalla prima serie televisiva, che risale agli anni ‘60, ne diviene l’episodio più riuscito, tra quelli cinematografici, perché mutua elementi narrativi e stilistici da altre fiction di grande successo: il bar frequentato da razze aliene, le peripezie sul pianeta ghiacciato, le battaglie tra vascelli stellari, la cerimonia finale, sono tutti passaggi che ricordano vicende analoghe della saga di Star Wars. Così pure il ritmo sostenuto, imposto alla rappresentazione, è di stampo prettamente cinematografico.
Il budget disponibile oltretutto permette di mostrare ciò che in televisione veniva solo suggerito, intravisto o evocato. Il lavoro del comparto tecnico è davvero ragguardevole e la messa in scena colpisce per l’impressionante realismo. Ma la spettacolarizzazione degli eventi non compromette l’identità trekker del film. Infatti, Abrams, non solo, possiede il talento di muoversi in universi precostituiti rispettandone le regole in modo puntiglioso, coerente e anche divertito, citando e dosando sapientemente rimandi e allusioni ammiccanti (ad esempio: la palletta di pelo arancione che pigola vista vicino a Scotty nella scena dell’avamposto? È un tribble –riferimento alla serie classica- il cagnolino disperso con il teletrasporto? È dell’ammiraglio Archer -riferimento alla serie Enterprise- e si potrebbe andare avanti..) ma anche è capace di allacciare, come fossero un tutt’uno, la componente action della storia con lo scavo e lo sviluppo dei personaggi conferendo loro profondità e un’identità ben precisa. Lo aiuta un cast ideale. Tutti gli attori scelti sono risultati convincenti nei rispettivi ruoli perché aderenti alle caratterizzazioni ‘tradizionali’ dei vari personaggi.
La trama:
Abbiamo appreso oggi, da tanta fantascienza che ce l’ha insegnato, che un viaggio nel passato può modificare la linea temporale degli eventi successivi modificando tutto ciò che accadrà in seguito, compreso quel futuro dal quale si è giunti, creando così, una realtà alternativa. E’ il Romulano Nero a provocare questa distorsione tornando indietro nel tempo, con l’intento di vendicarsi di Spock e della Federazione colpevoli, secondo lui, di aver lasciato perire il suo pianeta Romulus.
Si torna quindi agli anni dell’infanzia e dell’adolescenza di Kirk e Spock; la storia prosegue mostrando -e questa è una prima volta- cosa accadde negli anni dell’accademia, il primo scambio di battute di Jim Kirk con il burbero Dottor Leonard ‘Bones’ McCoy (Karl Urban), lo ‘storico’ exploit del cadetto Kirk con il test della Kobayashi-Maru, (che sarà rievocato spesso per spiegare la filosofia del capitano dell’Enterprise 'non ci sono situazioni senza via d'uscita'), e il conseguente primo confronto con Spock (Zachary Quinto), il primo approccio con l’Enterprise, gli altri membri dell’equipaggio: Uhura (Zoe Saldana), Pavel Cechov (Anton Yelchin), Hikaru sulu (John Cho). E infine l’incontro di Kirk, su un pianeta sperduto e inospitale, con l’abile ingegnere Montgomery ‘Scotty’ Scott (Simon Pegg) che sarà l’ultimo a unirsi al gruppo storico.
La storia di James Tiberius Kirk (Chris Pine), capitano dell’Enterprise quindi ricomincia in modo diverso e molto più drammatico. La perdita prematura che subisce, tuttavia, pur modificandone l’indole non lo svia: Kirk è comunque destinato a grandi imprese soltanto che ancora non lo sa o, forse, semplicemente, non vuole accettarlo. Una serie di eventi più o meno fortuiti lo condurrà nuovamente a imbarcarsi su quella navetta per le reclute destinate a Starfleet, e a diventare, così come è già stato, valente cadetto della flotta stellare.
Anche la vita di Spock subisce delle pesanti conseguenze negative dall’alterazione dell’originaria linea temporale: il lutto con il quale sarà costretto a confrontarsi, esaspererà repentinamente il conflitto tra la sua parte umana e la sua parte vulcaniana.
Ma le terribiIi prove che i due personaggi principali, Kirk e Spock, affrontano in questa diversa versione della loro gioventù, non faranno altro che rimarcare e riaffermare con immediatezza i loro profili. Il loro ‘destino-passato’ continua ad appartenergli come un’investitura che spetti di diritto e li reclama a gran voce. Così pure la profonda amicizia che è l’inevitabile frutto dell’incontro-scontro tra due personalità così diverse e altrettanto complementari.
E’ Uhura però il personaggio che più gode i benefici del restyling: da subito mostra carattere, determinazione ed indipendenza, e si afferma quale presenza insostituibile sulla plancia dell’Enterprise. La fanciulla è infatti dotata di un udito finissimo e della conoscenza delle lingue aliene (dialetti compresi).
A ‘Bones’ McCoy viene confermato il ruolo tradizionale dell’amico fidato e di cruciale coscienza dirimente i conflitti tra le personalità di Kirk e Spock. I suoi gesti sono magari meno appariscenti ma risulteranno decisivi nell’economia della vicenda (è lui, ad esempio, ad imbarcare Kirk sulla nave, nonostante l’esclusione di quest’ultimo per motivi disciplinari).
Trait d’union con la storia originale (e la serie ‘classica’) è lo Spock alternativo e anziano di Leonard Nimoy nel ruolo di dolente traghettatore da un futuro che è stato e non sarà più ad un nuovo futuro tutto da scrivere.
In ogni caso, anche in quest’ultimo capitolo di Star Trek vengono consacrati quei caratteri distintivi che ne hanno decretato ll successo. Il mondo concepito e voluto da Rodenberry è un’utopia positivista in cui si muovono soggetti animati da un fede illuministica nella ragione, che coltivano l’idea di un universo multirazziale in espansione continua, dove si conviva in armonia e fratellanza.
Così facendo, lo spirito di Star Trek è salvo, il sogno di Rodenberry (e nostro) continua con nuove avventure avvincenti: I viaggi della nave stellare U.S.S. Enterprise (ri)cominciano e la sua elegante linea flessuosa percorrerà ancora l’oceano infinito del cosmo per arrivare (tornare) là, dove nessuno è mai giunto prima.
 
Fonti: ‘Star Trek’ G. Rodenberry Mondadori 1980
T. Richards ‘Il mondo di Star Trek’ Longanesi 1997
 

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