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La Banda

Regia di Eran Kolirin vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La Banda

di MarioC
8 stelle

Se ci fosse un Premio Nobel filmico per la Pace, La banda andrebbe inserito di diritto tra i finalisti. Non ci sono sei giorni a sancire il confronto tra Egitto ed Israele, ma soltanto un pomeriggio, una sera, una notte, a gettare fragili ancore e dissestati ponti su un’ipotesi, per quanto larvata, di convivenza o, almeno, di possibile reciproca accettazione.

Il pregio del film sta nella leggerezza che lo pervade. Una leggerezza che fa a pugni con la realtà delle cose e che, per questo, ha fatto parlare della sua trama come della rappresentazione onirico/simbolica di una volontà, umana e fuori dal tempo, di accogliere l’altro, il diverso da sé, nella sua essenza di persona, al di là delle provenienze geografiche, degli atavici sguardi di odio o commiserazione, delle divise e degli stereotipi.

Naturalmente La banda è qualcosa di più. Nella vicenda dei musicanti di Alessandria d’Egitto che si perdono in Israele, un po’ per la sorda cocciutaggine del generale che la guida, un po’ per le piccole ed innocue malefatte giovanilistiche del bel ragazzo del gruppo, può scorgersi il disorientamento che coglie chi, nella vita, ha dovuto fare suo malgrado i conti con l’astio, in realtà cibandosi di ideali altri ed alti che, ad esempio, la musica, con la sua capacità di parlare un esperanto multirazziale ed universale, può regalare. La scrittura del film, cosciente del rischio che si annida nella retorica e nei luoghi comuni pletorici, scansa per fortuna gli intrecci zuccherosi o troppo manifesti. La diffidenza tra Egitto ed Israele c’è tutta, nessuno e nessuna cosa potrà forse mai sconfiggerla. Ma, per un breve lasso di tempo, si può farne a meno, spinti da una umana curiosità per il nemico che può trasformarsi in inimmaginabile convivenza, specie per anime già profondamente segnate da una propria vita in guerra (il generale vedovo e che ha visto suicidarsi un figlio; la donna, prossima allo sfiorire, bella e perduta; il ragazzo che aspetta con pazienza la chiamata della fidanzata; il giovincello imbranato e quello scafato; la famiglia israeliana in chiaro deficit d’amore, costretta ad inventarsi un inesistente passato di bagliori e luccichii). C’è anche, evidente, il tentativo riuscito di operare piccoli scarti rispetto alla comune opinione che incasella i due popoli in definizioni e considerazioni aprioristiche. Nel personaggio di Dina, ad esempio, non può non scorgersi una voglia ed un’urgenza di aprirsi all’altro (fosse solo per un po’ di sesso che riscaldi ed attenui la solitudine di una emarginazione palese) che cozza con la tetragona chiusura e la ferma intransigenza che Israele ha più volto manifestato e che è tuttavia buona per i libri di storia, non per chi la storia la vive e la combatte ogni giorno.O ancora: tutti i componenti dela banda hanno una diffidenza ed una paura che fa a pugni con l’immagine di un Egitto sfavillante meta turistica e un po’ levantina terra di apertura ai crogiuoli di differenti esperienze.

 

Gioiellino piccolo piccolo, dunque. In più arricchito da un umorismo di grana molto fine, straniante e realmente divertente. Molte le scene impagabili: l’arrivo all’aeroporto e la successiva richiesta di informazioni al suono di My funny Valentine; la misera cenetta al bar tra Dina ed il generale, con la donna aerea e volteggiante e l’uomo con tipica espressione da Cosa ci faccio io qui; il saluto finale alla donna, che guarda languidamente andar via i rappresentanti di quello che comunque resterà uno spicchio del suo passato; il maestro della banda che, al suono di un carillon per infanti, scopre la successione di note per completare quella ouverture di concerto che da anni langue senza genio nella sua mente; soprattutto, la scena del corteggiamento nella sala di pattinaggio, che è puro Kaurismaki: surreale, dolcissima, goffa, esilarante.

 

Già visti nel successivo e bellissimo Viviane i due attori principali: l’ineffabile Sasson Gabai e la divina Ronit Elkabetz. Un valore aggiunto al film, due campioni dall’espressività e dalla alchimia irripetibile.

 

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