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Jumper

Regia di Doug Liman vedi scheda film

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La recensione su Jumper

di lussemburgo
4 stelle

È la realizzazione di un sogno insperato la scoperta dei propri poteri di teletrasporto per il giovane David, la concreta capacità di eclissarsi da una vita da tipico e anonimo sfigato suburbano e provare l'ebbrezza di avere a propria disposizione il mondo, diventato il set funzionale alla realizzazione di ogni desiderio. I soldi non diventano un problema (basta prenderli), ogni fantasia diviene realizzabile con la sola forza del pensiero, i muri si attraversano, lo spazio-tempo si abbatte e nel viaggio istantaneo è anche possibile portarsi dietro oggetti e persone, secondo necessità. L'onnipotenza è a portata di mano, e l'invidia di chi non è dotato di alcun potere si è disciplinata in una setta di mistici Paladini, assassini organizzati miranti ad eliminare ogni “saltatore” esistente per la sua troppa vicinanza alla divinità, crocifiggendolo nell'immobilità e fissandolo definitivamente al suo tempo e spazio con una pugnalata rituale.
Jumper è organizzato su basi che codificano in forma di plot l'adolescenza e le relative pulsioni, con il desiderio quasi soffocante di libertà e l’insofferenza per i vincoli familiari, limitanti e frustranti, l'ambizione alla realizzazione immediata di ogni impulso e il mondo visto come semplice luogo di potenzialità da esprimere e sfruttare; poteva diventare un film divertente se avesse trasformato le infinite variabili del teletrasporto in espressione cinematografica di virtualità concreta, annullando la consequenzialità dei raccordi, le funzionalità espressive del montaggio per giungere ad una sintassi anarchicamente libera da codici. Ma il film di Liman si limita a fornire il materiale utile ad una successiva serializzazione dell'impianto, dando solo lo spunto per sviluppi ulteriori e lasciando alla fine quasi inalterati i personaggi.
Dopo l'interessante primo capitolo di Bourne, Liman sembra ormai occuparsi solo di film che recuperano elementi preesistenti e gettino le basi per una proficua derivazione reiterante. Mr & Ms Smith copiava il titolo da Hitchcock e l’idea da Huston (L’onore dei Prizzi), arricchendola di effetti speciali e tecnologia e si era fatta l'ipotesi (poi caduta) di uno sviluppo in forma di spin-off televivo. Jumper si rifà a piene mani ai supereroi Marvel (la citazione ripetuta del “Team-up” tra due supereroi appaiati contro un nemico comune è il riferimento culturale dei protagonisti), tramite il filtro di Heroes (persone normali con inaspettati superpoteri e trame familiari intrecciate), sfruttando i trucchi e i personaggi di X-Men (Nightcrawler, senza l’aspetto rettile); il tutto in un testo narrativamente piano e prevedibile, con la semplice esposizione degli elementi in gioco e personaggi ridotti a gigioneggianti premesse, che delega ogni approfondimento o sviluppo a ulteriori trame da venire.
Il protagonista, nel delirio di fuga, pensa di potersi emancipare dalla famiglia e dal passato, ma rimane infine imbrigliato in lacci e legami affettivi risalenti all’infanzia mai superata, e ogni “jumper”, in un ironico contrappasso, viene bloccato dalle corde metalliche del Paladino come una mosca in una ragnatela, fissato a terra per essere soppresso come pericolosa anomalia, perseguitato e raggiunto quando è ancora giovane e inespresso da parte di un adulto anziano (Samuel L. Jackson con parrucca canuta). Il film stesso, di fronte alle possibilità che la trama suggerisce, si limita a svolgere il minimo per evocare un massimo latente, vanificando le ambizioni inscritte nel personaggio in una malinconica visione di quell'adolescenza a cui, allegoricamente, allude. Perché postula, freudianamente, l'impossibilità di evasione da quei vincoli sentimentali (scelti o subiti) perennemente immutabili che condizionano e vanificano ogni volontà di emancipazione. Mentre il cinema si esaurisce in una vetrina di promesse suggerite e prive di concretezza di cui solo alimenta l'attesa, fermandosi al primo livello di un videogioco ancora da caricare.

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