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Parole sante

Regia di Ascanio Celestini vedi scheda film

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La recensione su Parole sante

di uccio
7 stelle

Il genere documentario, specie se di attualità, non andrebbe di regola guardato con così tanto ritardo rispetto alla data d'uscita nelle sale. Non che il documentario abbia impressa sopra una data di scadenza passata la quale il problema o la vicenda di cui si parla non esistono più. Magari. Le cose però si evolvono, cambiano, e potrebbe capitare di provare una strana sensazione di smarrimento temporale.

Ma andiamo nello specifico. Il problema qui sta nel lavoro precario, un fenomeno già nel 2007 in forte espansione e sempre più caotico, un'assunzione di potere da parte delle grandi imprese ai danni di lavoratori giovani e meno giovani. Questo il discorso generale.

Ascanio Celestini ce lo presenta con una metafora. Un uomo guarda un rubinetto gocciolare, goccia dopo goccia senza mai intervenire. Pensa che il problema potrebbe ingrossarsi, magari ingigantirsi e creare danni. Ma in fondo chi dice che sta a lui mettere una pezza al problema?

Guardando ora il documentario si potrebbe pensare che il lavoro precario non sia più il tema, si potrebbe pensare che l'uomo sia rimasto a guardare il rubinetto gocciolare e che l'acqua abbia ormai allagato la casa, sfondato il pavimento e sommerso il condominio intero. Ormai il lavoro precario è una norma e il tema è diventato che lavoro (e dignità) ormai non ce n'è più. Dicono la ripresa, la stabilizzazione. A crederci.

In più il documentario nello specifico parla della realtà dei call center, realtà che conosco fin troppo bene avendone avuto esperienza per dodici anni, sia come operatore che come responsabile di servizio (o Team Leader, chiamatelo un po' come vi pare). Si parla di Atesia e della precarizzazione selvaggia in un posto di lavoro che conta più di quattromila dipendenti, di salari pagati a chiamata a seconda dei minuti o secondi impiegati nella gestione della stessa. Parametri spaventosi e disumanizzanti, e qui ammetto che la mia esperienza è stata più fortunata, almeno fino a un certo punto, perché poi chissà perché l'Azienda (quale che sia), il potere forte, può in un modo o nell'altro fare sempre quel che vuole e non pagare (quasi) mai, mai fino in fondo, e uscirne spesso anche con le brache pulite.

I lavoratori invece vanno a casa, o si devono accontentare, o si devono arrabattare a cercare altro. A un certo punto in Atesia (ora Almaviva) la corda si è spezzata e i lavoratori sono riusciti a dire un no bello forte. Hanno istituito un comitato, hanno fatto valere i propri diritti, hanno combattuto e hanno anche vinto. Poi, in una maniera o nell'altra, sono stati fatti fuori, Atesia ha pagato ma con garbo, un pochettino, giusto da non dar loro troppo fastidio. E rimane l'amarezza, che per fortuna passa. Ma il rubinetto continua a gocciolare.

Chissà, forse non vale più la pena informarsi su una vicenda targata 2007, ognuno valuti per se, la storia è narrata però con grazia ed educazione, con leggerezza. Dal padrone di casa e dai diretti interessati. Noi italiani, checché ne dicano gli stranieri, siamo molto educati e a tutti va bene così. Intanto il bagno si è allagato, il pavimento sfondato...

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