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Signorinaeffe

Regia di Wilma Labate vedi scheda film

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giancarlo visitilli

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La recensione su Signorinaeffe

di giancarlo visitilli
4 stelle

Torino, ottobre 1980. La marcia dei 40mila quadri e impiegati Fiat, che si oppongono allo sciopero degli operai, lungo 35 giorni, contro i 23mila licenziamenti decisi dal Lingotto, è la notizia che fa il giro del mondo, allo stesso modo di come oggi può succedere in occasione di un regalo fatto dal presidente Ics, alla sua amante-moglie-compagna, Ipsillon.
Ventisette anni dopo quella marcia a Torino, la regista romana decide di prendere a pretesto la situazione operaia di oggi, per fare una soap-opera che di cinema, appunto, non ha nulla. In Signorinaeffe, infatti, ci sono tutti gli ingredienti che mamma tv insegna ed offre, al grande pubblico, ma adesso anche a quel pubblico inferiore per numero, che rifuggiva dal piccolo schermo e che tentava di andare in sala per vedere altro.
Praticamente la storia che si racconta è quella d’amore tra l’impiegata Emma (ma come mai la Solarino non ha successo a Striscia, visto il suo modo di recitare?) e Sergio, un operaio (la Labate è capace di far recitare male anche un talento come Filippo Timi).
Non possono bastare i filmati di repertorio: da quando si usavano in fabbrica le tute blu Perotti, o le immagini della votazione davanti ai cancelli della Fiat (in verità sono le stesse immagini che hanno utilizzato Sabina Guzzanti e Francesca Comencini, nel documentario In fabbrica), i servizi dei tg, le pubblicità della stessa fabbrica di auto, per raccontare l’Italia del tempo. C’era bisogno di una sceneggiatura. In questo film, nonostante i nomi affermati degli sceneggiatori (Starnone, Evangelista e la stessa regista), ciò che fa difetto è proprio la sceneggiatura. Precari non sono soltanto gli operai di allora e di oggi, ma anche la sceneggiatura: è debole, senza alcun approfondimento, ma in verità nemmeno un accenno, all’aspetto socio-politico del tempo. Eppure si tratta di quel mese che ha cambiato le dinamiche contrattuali tra padroni e operai in Italia. Vabbene che di solito ogni ‘buona’ produzione impone al regista la scena di sesso, la tetta, il gluteo, o quello che si chiama amore, ma un film sulla lotta operaia non può dedicare il novanta per cento della pellicola alla passione (nemmeno tanta) fra due persone, uno dei quali impegnato, o presunto tale, contemporaneamente in una dura lotta contro i sindacati. Ma la Labate ha mai assistito a qualche trasmissione televisiva (sicuramente si: visto il suo film)? Finanche a Porta a porta si continua a raccontare che non si ha più tempo di fare all’amore, per lo stress, perché la gente è distrutta da orari di lavoro insopportabili, ecc. E’ mai possibile che i due precari della Torino anni Ottanta, non abbiano altro da fare, fra il casino degli scioperi in atto? Che non avvertano lo stress della mancanza di lavoro? Emma non vive affatto il tormento e l’estasi della Signorinaeffe. Tutt’altro.
La Labate, evidentemente, ignora anche che in Italia ci son stati dei capolavori, che almeno avrebbe potuto rammendare: Rocco e i suoi fratelli di Visconti ruota tutto intorno alle traversie sentimentali e lavorative di un nucleo familiare proveniente dal profondo Sud in cerca di maggior fortuna, ma è capace di farti soffrire, immaginare e appassionare anche all’amore (quello vero), sebbene in un contesto difficile qual era l’Italia del tempo. La differenza è semplicemente nella forma. Ma al cinema la forma in questione è tutto. O si tratta di cinema, oppure sarebbe meglio risparmiare i soldi del biglietto e, tanto vale pagare il canone, tanto film come quelli della Labate, prestissimo passano sul grande schermo. Sono fatti apposta per.
Giancarlo Visitilli



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