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Blade Runner. The Final Cut

Regia di Ridley Scott vedi scheda film

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La recensione su Blade Runner. The Final Cut

di Antisistema
10 stelle

È tra i film che ho rivisto più volte Blade Runner di Ridley Scott (1982), anche se era da un po' che non lo vedevo e approfittando della quarantena ho deciso di revisionarlo fosse anche per scrivere due parole su questo capolavoro immane, che si pone come spartiacque nella storia del cinema e come riferimento di un modello produttivo oramai eclissatasi nell'industria americana, segnando con la sua uscita la fine della Nuova Hollywood e dell'età adulta del cinema degli Stati Uniti, per lasciare spazio ai giocattoloni infantili degli anni 80', tutto fracassate, effetti speciali e disimpegno. Ridley Scott probabilmente è il regista che ha iniziato in modo migliore di sempre la sua carriera nel mondo del cinema, trovare un cineasta che ha debuttato nella settima arte con un trittico come I Duellanti (1977), Alien (1979) ed infine Blade Runner (1982) credo sia impossibile o quasi, ed il regista britannico quando si appresto' a dirigere questa pellicola tratta da un libro di Philip Dick, aveva una visione autoriale ed un talento registico secondo a nessuno. Il film ha chiare influenze da noir anni 40' negli stilemi narrativi e nella scansione del ritmo narrativo, ma la messa in scena è invece roba originale al 100%, poiché Scott ha creato ed inventato dal nulla la visione del cyberpunk al cinema, inutile cercare modelli precedenti, perché anche quello più citato come Metropolis di Fritz Lang (1927), era più una ricostruzione all'eccesso di una distopia capital-industriale del presente, che un vero e proprio sguardo di un futuro prossimo come Blade Runner, con uno sviluppo verticalistico dell'architettura urbana, inquinamento atmosferico marcato, cupezza onnipresente, claustrofobia asfissiante ed una visione alienata e nichilista dell'esistenza umana ed artificiale, senza scopo e priva di ogni possibile autodeterminazione da leggi e regole sia politiche che scientifiche imposte dall'alto. Un presente fallimentare non può che condurre ad un futuro sempre peggiore, è stupido e illusorio credere ad un possibile miglioramento grazie alla tecnologia, se alla fine i mezzi sono sempre nelle mani dei potenti, con i poveri ed i malati relegati in basso a marcire nella loro solitudine, a cui da palliativo c'è solo la costruzione di giocattoli meccanici come J.F. Sebastian (William Sanderson).

 

 

L'influsso orientale nella costruzione scenografica della metropoli futuristica di Los Angeles è evidente non solo nella netta predominanza di persone di etnia asiatica o nel sovrappopolamento marcato, ma anche dall'uso intensivo di luci al neon di varie tipologie di colori che finiscono con accentuare l'irrealta' del tutto contribuendo ad aumentare il senso di claustrofobia e solitudine perenne, come la pioggia incessante e l'iconica immagine su schermo di una donna orientale in una pubblicità. Deckard (Harrison Ford) è un agente dell'unità Blade Runner, molto rinomato per la sua esperienza, deve occuparsi di "pensionare" 4 replicanti Nexus 6 giunti sulla Terra dalle colonie extra-mondo, nonostante sia proibito per loro stara sul nostro pianeta. Capitanati da Roy Batty (Rutger Hauer), tali esseri sintetici sono in tutto e per tutto uguali agli esseri umani, ma con una durata vitale limitata e dotati di grande forza, per questo sono sfruttati come schiavi da forza lavoro, per impedire loro di ribellarsi, sono stati innestati in loro dei ricordi per far credere loro di essere degli umani e non far comprendere cosi la loro vera natura.

L'indagine di Deckard diventa una ricerca in realtà dell'identità di sé stesso, un viaggio perfettamente circolare sul significato di realtà e percezione di essa, che può non risultare ciò che vediamo o ricordiamo, poiché magari frutto di un innesto di esperienze o pensieri altrui, quindi manca qualsiasi appiglio sicuro per un'autodeterminazione mancante fin dal principio, finendo in una spirale disperata e senza via d'uscita, capace nel suo percorso investigativo di trovare solo incertezze e seminare altri dubbi come in Raechel (Sean Young), che dopo l'incontro con l'uomo non sa più chi sia. Roy Batty è un replicante che ha raggiunto la piena autocoscienza di sé stesso, alla ricerca di un obiettivo molto umano, allungare la durata della vita autoimpostagli dal suo creatore Tyrell (Joe Turkel), che per un "angelo caduto" come Roy assume uno status di Dio-creatore a cui è grato per avergli dato la vita ma al contempo odia per i limiti vitali impostagli, un replicante oramai perfettamente umano nelle paure e nel concepire i sentimenti come la vendetta, il legame affettivo per una sua simile come Pris (Daryl Hannah) ed una superiorità etico-morale mostrata su Deckard nell'intenso pre-finale.

 

 

L'andamento è volutamente lento, meditabondo e riflessivo, il ritmo sincopato come nei migliori noir, stimolando una miriade riflessioni nello spettatore sulla vita, morte, autodeterminazione, alienazione, creazione, percezione della realtà, esistenza, solitudine, bioetica, sfruttamento e così via, in pratica quasi nessun film di fantascienza odierna è esente da influenze verso tale pellicola, da cui praticamente non c'è stata alcuna significativa evoluzione tematica, se non nell'animazione con pellicole come Akira di Kazuhiro Otomo (1988) e i due Ghost in the Shell di Mamoru Oshii (1995 e 2004), quest'ultimo porterà a piena riflessione filosofico-tematica alcuni degli spunti solo abbozzati dal film, cercando al contempo una evoluzione incisiva per i temi proposti dal film. Harrison Ford eccellente su un registro più intimo consono al ruolo anche se tutt'oggi non ha un buon ricordo della produzione, per via anche del clima di astio tra Scott e la troupe non idilliaco e ricco di contrasti, con riprese affrettate negli ultimi giorni per evitare sforamenti eccessivi del budget che innervosirono la produzione, brava Sean Young rigida e artificiale come richiesto dal ruolo e strepitoso Rutger Hauer da poco scomparso qui al suo miglior ruolo di tutta la carriera e perfettamente azzeccato nel ruolo di un replicante "evoluto" grazie ai suoi connotati teutonici, freddi e ariani, diventando autore del più grande monologo della storia del cinema :

 

«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia.
È tempo di morire.»

 

Sequenze indimenticabili a profusione in ogni frame, ma accesi contrasti tra regista e produzione, venendo costretto ad inserire una ingombrante voce fuori campo ed un finale che c'entra poco e nulla a livello di tono ed estetico rispetto alla cupezza disperata voluta dal regista, ma fortuna nostra che oggi possiamo vedere il vero Blade Runner senza la ridicola ed invasiva voce narrante ed il finale originario che getta una luce inquietante sull'identità di Deckard. Critiche miste all'epoca, con varie lamentele da parte dei recensori che lamentarono una trama oscura (ma dove?) ed un ritmo lento, con il pubblico che fece floppare il film ai botteghini preferendo quell'anno insieme all'ignorante critica quella mediocrata borghese infantile di ET di Steven Spielberg, molto più vicino ed aderente alle idee positive e luminose degli anni 80' insugurate dalla presidenza Reagan, quindi poco disposto a riflettere e pensare, innanzi ad un film denso come Blade Runner, evidentemente troppo oltre per i cervelli del popolino che tra la verta arte e la scemenza, sceglie sempre quest'ultima.

Capolavoro assoluto da vedere nella versione Final Cut di Ridley Scott, che non ritornerà mai più lontanamente vicino ai livelli di questo capolavoro né dei suoi esordi.

 

 

Film aggiunto alla playlist dei capolavori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297

 

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