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The Mist

Regia di Frank Darabont vedi scheda film

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La recensione su The Mist

di Kurtisonic
7 stelle

 

Sarà capitato a qualcuno, che prima che l'aereo decolli, anziché seguire la gestualità da karaoke dell'hostess che prospetta quelle norme di comportamento impensabili da rispettare in caso si verifichi una situazione estrema, di volgere invece lo sguardo sugli altri, seduti, allacciati, col sorriso stemperato di chi pensa che tanto non succederà mai niente di tutto quello. Per un attimo brevissimo quelle facce, i loro odori, la posizione che hanno assunto fanno pensare che se invece succedesse, sarebbero le ultime cose che vedi del mondo, che la tua vita che in quel momento sta per finire è stata scritta per deflagrare magari contro la vecchia americana con gli occhialoni che sfregiano il fondotinta, o per  schiacciarti sul ginocchio di un moro aitante insolitamente alto per non giocare a basket, o forse sfiorando una quasi ancora giovane che ha appena finito di consolare qualcuno ripassandosi amabilmente i capelli fra le dita scoprendosi la fronte altera e pudica allo stesso tempo. Di sicuro una giornalista, perché è la sola a non aver preso il giornale  in omaggio. Lo stesso pensiero lo avresti in coda alle casse di un negozio per un finto allarme bomba, stesse facce, stesse anonime esistenze, magari sei dentro a The mist...

Stephen King è potenzialmente uno degli scrittori meglio saccheggiabili dal cinema, ogni suo libro potrebbe ritagliarsi un genere a sè, eppure non sempre i registi, salvo eccezioni eclatanti, sono riusciti a fare trasposizioni di rilievo pari ai suoi libri, che forse meritano di rimanere tali, più adatti all'elaborazione dell'immaginario fra le pagine  che ad una compressione dentro uno schermo. Frank Darabont è uno che ci ha provato più volte, dal lontano esordio con il cortometraggio The woman in the room passando per film di successo fino a The mist tratto da una raccolta di racconti del maestro del terrore. La scelta della sceneggiatura è caduta su di un soggetto tanto significativo e comune dal risultare uno dei più trascurati, il non luogo per eccellenza, il santuario della laicità, il vero punto di autoaffermazione dell'uomo moderno, cioè il supermercato. Un uomo con figlioletto entra nel grande negozio dopo che un mezzo uragano ha messo a soqquadro la sua casa, mentre è all’ interno una spessa coltre di nebbia avvolge l'edificio. Parallelamente all’idea di fondo usata anche da W.Golding nel “lostiano” Il signore delle mosche, si crea all'interno del nuovo mondo cioè quello dei consumi più facili, una nuova società regolata non solo dai rapporti di forza ma soprattutto dal terrore e dalla paura poiché è chiaro che qualcosa c'è dentro quella strana nebbia e stavolta quel che pensiamo non succeda invece accade. The mist calibra sapientemente tutte le sue caratteristiche di genere, e pur non facendosi mancare nulla riesce a traslare l'orrore verso l'esterno e l'ignoto dentro l'irrazionalità, le paure inconsce, la perdita definitiva di ogni controllo. Rispetto alla classica struttura horror made  in Usa, c’è la rinuncia allo spazio privato, la solita casa regno di tragedie sepolte ma anche elemento di disparità fra personaggi, fra chi conosce e sa e chi invece ignora. Nello spazio d'azione di The mist  c’è una esposizione paritaria e pubblica dei personaggi nei quali non possono che emergere pulsioni primarie per cercare di sopravvivere e di sovrastare il prossimo  esorcizzando la perdita della propria condizione. Si va dal fanatismo religioso  alla forza bruta, alla disparità sociale. Tutto contribuirà ad infittire quella nebbia da cui intanto emergono indicibili mostri che sono poi gli stessi fantasmi  che agitano la coscienza della società. Figura di spicco, Pete Drayton, che di mestiere crea manifesti cinematografici, è quello deputato alla gestione emotiva e fisica della vicenda che non perde mai ritmo ne si concede sbilanciamenti eccessivi sia dal lato della tensione che da quello più drammaturgico. The mist non dà mai l'impressione di travalicare il genere per sconfinare nell'eccesso puro e fine alla sola spettacolarità per arrivare ad un epilogo a dir poco raggelante che darà grande soddisfazione al suo pubblico. La componente mostruosa più evidente quasi si defila, mimetizzata più nelle nefandezze umane, la sua resa spettacolare non invade mai completamente l’apparato narrativo rimanendo per lo più seminascosta nella nebbia. Il vero scontro avviene all’interno delle regole di confronto e di sopravvivenza che si stabiliscono nello spazio comune, che guarda caso essendo di tutti cioè di nessuno perde la sua funzione omogenea dividendo e inasprendo i rapporti. Al di fuori di esso, e questo può essere una dato di lettura anche critico verso la comunità dove la vicenda si svolge, l’uomo non ha più chiari i suoi parametri esistenziali, non ha più quei riferimenti materiali che lo saldano alla terra secondo la pragmatica cultura americana. La natura dell’uomo prevarica ogni sentimento, per sfuggire alla paura occorre armarsi di qualcosa di peggiore, l’orrore.

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