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Il petroliere

Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film

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Mr.Klein

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La recensione su Il petroliere

di Mr.Klein
4 stelle

C’è da augurarsi che non arrivi mai il momento di un mea culpa a seguito di un’opinione su un film che ha la non invidiabile parvenza di un’opera elogiata e santificata da critica e pubblico molto prima di essere vista.
Il petroliere era vincente dal momento in cui era stato annunciato,e molto opinioni lo confermano.
Premetto che da parte mia c’era tutta la buona volontà di non assistere prevenuto alla visione del film,lasciando alle spalle l’untuoso moralismo di Boogie Nights e la sgradevole sensazione di umana putrefazione che Magnolia emanava,la cui visione ammetto di aver abbandonato dopo meno di un’ora:capisco che chiunque si dica appassionato di cinema non dovrebbe farlo,ma quello che alcuni hanno definito un’operazione babilonica a me è sembrato un troiaio,e talvolta il rispetto del proprio tempo vale molto spesso più di un bel film.
Detto questo,occorre chiarire che questo non è un film brutto o sbagliato,ma per certi versi è qualcosa di molto peggio:ha la grandissima volgarità di tutto ciò che è falso.
Il notevole incipit faceva molto ben sperare con quell’atmosfera di documentario artistico che conferiva potenza visiva al sangue che emerge dalla terra,all’ambizione sovrumana nascosta dopo non lo sospetteresti mai,e fino a quando Daniel(il personaggio e l’attore) resta una lucertola che si dimena in un luogo che sembra essere davvero il centro della terra lo seguiamo con attenzione rinfrancata dall’abilità di questa scelta visiva:ma questo bel film dura troppo poco.
Stritolato tra il presuntuoso infantilismo di Paul Thomas Anderson(che speriamo d’ora in poi non venga più paragonato a Altman) e l’egocentrismo sovreccitato di Daniel Day Lewis il film è per quasi 160 minuti il dialogo complice di due poveri tiranni che sono sicuri di poter dare dello stupido a tutto il mondo circostante.
Non c’è bisogno di essere finissimi eruditi(poiché chi scrive non lo è) ma è sufficiente non essere completamente a digiuno di cinema e letteratura per avvertire quale sia stato il lavoro di dilatazione operato da Anderson sul testo di Sinclair(che i bene informato dicono essere uno smilzo volume di 150 pagine),e tanto più forte è questa sensazione quanto più assistiamo a sbalzi temporali in cui si perde il filo del racconto,si perdono personaggi che in un primo momento sembravano essenziali che non sopravvivono all’accetta della sceneggiatura di uno dei più autorevoli esponenti di quel concetto autistico di cinema tanto caro agli autori di oggi.
Nonostante l’attore britannico continui a negare,non sembra così inattendibile la voce secondo la quale sia stato circondato da un cast che non compromettesse la sua performance a tutto campo,sprecando molti validissimi attori tra cui,giusto per fare un nome,c’è il nobilissimo volto di Ciaran Hinds,personaggio che,come quasi tutti,viene lasciato e ripreso solo quando può accompagnare la presenza di Daniel Day Lewis.
A ciò si aggiunga l’occasione completamente mancata di dare rilievo al personaggio imperdibile del falso profeta Eli,di cui non viene raccolta la possibilità di un confronto realmente ironico,amaramente ironico,detestabile ma profondo contrappunto morale del personaggio di Plainview,affidato ad un attore di quasi sconcertante mediocrità come Paul Dano,evidentemente sicuro di aver trovato la chiave giusta per interpretarlo.
Anche il povero Daniel Plainview per quanto voglia farci paura non riesce nemmeno a turbarci,al massimo riesce a sembrare patetico,sfinito dal parassita che lo mangia dall’interno,soprattutto per l’arrogante lavoro che fa su di lui il protagonista:non è più l’attore che si presta a trasportare un personaggio sullo schermo,ma è il personaggio che deve servire l’attore.
Sono stati scomodati Griffith,Stroheim,Welles e chi più ne ha più ne metta,ma personalmente m’è sembrato un film più che altro kubrikiano per la propensione a erigere il monumento a sé stessi in cui confluiscono immagini aggressive e potenti(che,sia chiaro,qui non mancano),per costringere la materia narrativa all’interno della sevizia del mezzo cinematografico,e per la completa indifferenza nei confronti di quello strano animale chiamato essere umano.

Anche questa volta,però,è l’infanzia a creare una frattura profondissima con il personaggio di H.W.,a regalare quella disperazione risentita,taciuta di cui il film è sprovvisto,e Dillon Frasier(cui va aggiunta la breve partecipazione di Russell Harvard quando diventa adulto)è proprietario del cuore che il suo padre putativo non sa nemmeno che forma abbia.
Dopo un finale in cui si consuma un regolamento di conti davanti al quale non si può evitare di sorridere,soprattutto perché nessuno sembra accorgersi di quanta comicità involontaria vi sia dentro,ci sentiamo non sollevati ma congedati dal dovere di portare con noi un qualsiasi significato:se Anderson voleva fare un film repellente c’è riuscito davvero,e in questo sta il suo successo.
Ma la prossima volta ci penseremo due volte prima di andare a vedere un altro suo film.

Su Randall Carver

Un volto che,privato della parola,brilla di speranza,di pensoso entusiamo che non accetta di ereditare violenza da nessuno. La tranquillità con cui abbandona Daniel è da ricordare.

Su Dillon Freasier

Il turbamento sofferente acquista con questo ragazzino una chiaroveggenza educata,non infantile,delicata come la costrizione a tacere.

Su

Non c'è molto da dire se non che è stato utilizzato poco e male.

Su Kevin J. O'Connor

Da apprezzare per lo sforzo di non rendere patetico un personaggio che potenzialmente lo era.

Su Paul Dano

Un'inqualificabile faccia da Buddha ottuso e febbricitante. Il classico esempio di un attore nato vecchio.

Su Daniel Day-Lewis

Spietato e senza alcuna misura per il modo in cui ha preso di peso il personaggio di Plainview e lo ha costretto a morire lentamente stretto nel filo spinato della prepotenza,dell'arroganza interpretativa,pazzo di gioia per aver fatto diventare un personaggio interessante un uomo che si svena. Ma se pensiamo sia accettabile quel grande,volgare equivoco che si chiama immedesimazione,allora Daniel Day Lewis è praticamente un genio.

Su Paul Thomas Anderson

Laureato troppo presto come regista capace,Anderson non abbandona mai la scelta di essere un eterno studente che proclama ad alta voce le proprie lezioni.

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