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Be Kind Rewind. Gli acchiappafilm

Regia di Michel Gondry vedi scheda film

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La recensione su Be Kind Rewind. Gli acchiappafilm

di Decks
8 stelle

"Pregasi riavvolgere il nastro".

Ecco: basta il titolo della quarta opera di Michel Gondry a far sì che una valanga di ricordi affolli la mia mente, come suppongo sia avvenuto a chiunque abbia guardato questo film.

Erano gli anni delle videocassette, quegli apparecchi rettangolari e anche ingombranti di cui qualsiasi appassionato di cinema tiene un bel ricordo: il rumore delle testine rotanti, la felicità di poter avere finalmente a casa i film preferiti e, come dimenticarsi, dei due minuti in cui attendevamo il riavvolgersi della piccola bobina.

Quest'ultima azione, come alcuni ricorderanno, era un quadro a cui assistevamo spesso in videoteca mentre attendevamo il nostro turno e che probabilmente non vedremo mai più.

Sì, perchè oltre ad essere una forte dichiarazione d'amore nei confronti del cinema, questo film è decisamente nostalgico.

 

Il lavoro svolto da Gondry è più unico che raro: porre in una commedia demenziale una simile infinità di tematiche, non solo sull'industria cinematografica ma anche sull'uomo che si rapporta con essa, non è indifferente.

Voglio dunque soffermarmi sulle figure umane più interessanti del lungometraggio, che a mio parere sono il signor Fletcher (Danny Glover), la signora Lawson (Sigourney Weaver) e i ragazzi facenti parte di quel quartiere degradato:

 

 

Fletcher potrebbe benissimo essere preso come modello di tutti quei videotecari, che non solo vivevano la svolta VHS/DVD, ma che ancora oggi (streaming) cercano di professare questo lavoro che, purtroppo, è in lento disfacimento.

Il loro impiego, oggi come allora, è poco retribuito e preso poco seriamente dallo stato, che non ascolta o preferisce costruire i suoi grossi palazzi e centri commerciali; Fletcher è l'esempio lampante di un vetusto navigatore, che a malapena resta a galla in mezzo ad un mondo che lo ha deluso per la sua superficialità e l'occhio rivolto esclusivamente al progresso e al nuovo.

 

Il pesce grosso mangia sempre quello piccolo e, in questa storia, i due squali sono la società immobiliare e la signora Lawson: tristemente, i due sono molto somiglianti, non conta più la passione, ma il guadagno e i "preziosi" diritti di copyright che le grosse major cinematografiche sventolano fieramente quando si muovono in pompa magna per denunciare persone qualunque, che, tutto sommato, si stavano solo divertendo.

La forte scena in cui uno schiacciasassi demolisce senza pietà i film maroccati ("sweded" in originale vista la posizione della Svezia al riguardo) è allo stesso tempo crudele e contraddittoria, fa riflettere se si pensa al 70% della produzione statunitense che riguarda remake, reboot e sequels.

 

 

Potrebbe essere una forte sconfitta per il cuore a favore della fredda calcolatrice, ma è qui che entra in scena la comunità: i cittadini comuni dimostrano che per realizzare qualcosa di bello non servono effetti speciali o grosse case produttrici, ma semplice passione.

Le parole di Gondry sono chiare: non sono la tecnologia o le leggi di commercio a determinare la bellezza di una pellicola, quanto le persone; coloro che mettono tutti sè stessi in quello che fanno, con la voglia di provare e riprovare, anche se i primi risultati sono mal riusciti.

Da ciò non può venire che felicità e senso di accoglienza, dimostrando che il cinema è una via che può realmente aiutare e migliorare la vita delle persone, non in senso finanziario, bensì come un'autentica forma d'arte, che dovrebbe essere riconosciuta e aperta a chiunque.

Il falso documentario su Fats Weller, difatti, dopo i vari discutibili risultati, è un forte miglioramento che sottolinea, come la dedizione possa portare a realizzare qualcosa di edificante.

Oltre a far rimanere incantato qualsiasi amante del cinema con la C maiuscola, più la voglia di prendere una telecamera in mano dopo averlo visto è anche la prova che con qualche trucchetto si possono fare cose di indubbia bellezza, a costo zero, senza essere per forza grottesco.

 

 

C'è da dire che la poetica, che ben conosciamo, del regista è lontana: quel tipo di commedie un po' surreali che giocano sul reale e l'intangibile sono altre. Questo è un film molto più leggero, che piace proprio per il suo essere difensore della settima arte.

Le parodie, soprattutto dei film "King Kong", "Ghostbusters", e "Il Re Leone" senza neppure un disegno animato sono divertentissime, ma tolta la parte, chiamiamola "filmica", le gag e le scene divertenti sono ben poche.

L'inizio sembra quello di una commediola da quattro soldi, farsesca e meno che modesta, con Jack Black impegnato nelle solite scene colme di idiozia e un forte retrogusto nerd.

Il film poi si risolleva, ma rimane comunque la sensazione di trovarsi dinanzi ad una trama artificiosa e troppo zuccherina.

Ci si vorrebbe credere, eppure trovo difficile immaginare una marea di gente che si appassiona a pellicole home-made.

In più, a parte Sigourney Weaver che fa un'entrata in scena che affascina e spiazza, il resto del cast non possiede lo spessore che di solito si richiede ad un film di Gondry:

Jack Black è il solito di sempre e interpreta il ruolo che gli riesce meglio, cioè il nerd che parodizza e cita continuamente accompagnando il tutto con una vena di saccenza; Mos Def non si sbilancia, rimane la controparte di Black senza dar grandi performance; Danny Glover e Mia Farrow restano ai margini della storia, praticamente sprecati in dei siparietti di dubbia comicità.

 

Un discorso a parte lo meritano la fotografia di Ellen Kuras e i costumi: la prima si conferma come sempre all'altezza delle aspettative con una colorazione grigiastra e cupa di un quartiere fatiscente; oltre a dargli un senso di rovina assume tinte orrorifiche quando vengono inquadrati palazzi imponenti e centrali elettriche che sembra vogliano inghiottire l'intero isolato. Prevalgono i colori chiari, quasi cartooneschi, durante le riprese dei film, che lasciano senz'ombra di dubbio un senso di felicità e spensieratezza.

Come detto sopra, anche i costumi sono vari e fenomenali nel loro essere spiantati, miseri, ma soprattutto semplici, che è il fondamento su cui si basano le videocassette maroccate dei due ragazzi.

 

 

Anche se inizia con degli sciocchi sberleffi, senza un cast appropriato e con una sceneggiatura un po' smielata, il lungometraggio di Gondry riesce ad essere toccante nel mettere in scena il lato umano del cinema, con tutti i suoi pro e contro.

Ci insegna a non essere sempre seri e scontrosi di fronte alla settima arte, criticandola quando non raggiunge la perfezione. Dovremmo invece fermarci un attimo e tornare indietro di anni, ai tempi di Meliès per la precisione, quando il cinema era un gioco di prestigio, una magia, anche puerile, ma dopotutto, cos'è se non questo il cinema?

Immaginazione, passione e arricchimento di spirito, e chissà che da quelle riprese sconclusionate, senza una vera e propria identità non possa nascere qualcosa di buono; un tocco d'ispirazione che decreti il passaggio dai video più spregiudicati alla vita di Fats Waller.

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