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Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo

di port cros
5 stelle

Delusione per il non necessario ritorno di Indiana Jones sullo schermo, diciannove anni dopo la perfetta chiusura dell'Ultima Crociata. La nostalgia non basta a salvare una sceneggiatura scricchiolante che la regia di Spielberg riesce a vivificare solo in alcuni passaggi, lo spegnimento dell'ironia, un conflitto generazionale che non appassiona.

 

Dato che Paramount Network ha trasmesso ogni domenica sera i film della saga di Indiana Jones, ho voluto rivedere anche questo tardivo Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo (2008), che già non mi piacque alla prima visione, impressione confermata pure dalla seconda, ed aggravata dal confronto ravvicinato con i più risusciti episodi della trilogia originaria.

 

La smania della Hollywood del XXI° secolo di produrre continui seguiti, prequel, remake o reboot dei “marchi” cinematografici di successo, per ragioni essenzialmente di marketing connesse alla maggior facilità di vendere al grande pubblico un prodotto già noto piuttosto che affaticarsi a farne conoscere un nuovo nonché alla possibilità di sfruttare la nostalgia dei numerosi fan, ha così mietuto tra le sue vittime pure il mitico archeologo, che aveva chiuso alla grande le sue avventure, inizialmente concepite come un trilogia di film, con l'ottimo Indiana Jones e l'Ultima Crociata.

 

 

A differenza di altri franchising, si è mantenuto lo stesso attore protagonista (è d'altronde difficilissimo immaginare chiunque altro nei panni di Indiana Jones) e quindi si è seguito lo scorrere del tempo sul volto di Harrison Ford, ambientando il film negli anni 50, una ventina d'anni dopo i fatti visti ne L'Ultima Crociata, così come quasi vent'anni erano trascorsi dall'uscita di quel film nel 1989. Per attrarre il pubblico più giovane, in questa avventura l'ultracinquantenne Jones viene affiancato da uno scapestrato ventenne (l'astro ai tempi nascente Shia Lebouf). E, per entusiasmare i nostalgici, ritroverà la sua vecchia fiamma Marion Ravenwood (Karen Allen), protagonista femminile de I Predatori dell'Arca Perduta.

Era quindi d'uopo un'ambientazione all'acme della Guerra Fredda e del maccartismo, con i comunisti sovietici a fare da antagonisti al posto dei proverbiali nazisti. La trama, invero un po' confusa, ruota intorno ad un misterioso teschio di cristallo che infiltrati sovietici capeggiato da una gelida colonnello del KGB (Cate Blanchett) sottraggono ad un magazzino top secret dell'Area 51. Reliquia di una misteriosa civiltà scomparsa di input alieno, la sua ricollocazione con gli altri suoi simili nel tempio di una città perduta nel cuore dell'Amazzonia dovrebbe permettere di acquisire un potere immenso, capace di decidere le sorti dello scontro tra i blocchi.

 

 

Il ritorno sullo schermo di un personaggio che ha segnato come nessun altro il cinema d'avventura è stato accolto da un'universale delusione, che non posso non condividere.

Spielberg cerca di replicare la formula magica che, mixando avventura, suspense, ironia, azione ed esotismo, aveva fatto la fortuna della serie negli anni 80, ma ci riesce solo in alcune sequenze ben girate, come quelle d'azione del duello spadaccino tra jeep in corsa nella giungla e dell'irruzione delle moto nella biblioteca o quando gioca con l'ombra riflessa del mito di Indy. Non che Spielberg si sia dimenticato come dirigere un'opera di intrattenimento, ma qui emergono problemi nella scricchiolante sceneggiatura di David Koepp che la sua direzione non è in grado di correggere. La stessa svolta fantascientifica col decollo finale dell'immensa astronave appare poco convincente e la vicenda di un teschio alieno non appassiona certo come l'Arca dell'Alleanza e il Sacro Graal, forse anche per via del suo aspetto un po' kitsch.

Nonostante il ritmo serrato, per lunghi tratti ci si annoia, peccato mortale per un film di avventura in cui non incorrevano mai I Predatori L'Ultima Crociata e molto meno persino l'imperfetto Tempio Maledetto. Il finale nel tempio-astronave dei teschi di cristallo risulta addirittura anti-climatico e sfigura al confronto con il fascino delle prove di fede da superare nella chiesa rupestre del cavaliere crociato.

 

 

L'inserimento di un conflittuale rapporto padre-figlio all'interno della trama avventurosa, che aveva fatto scintille ne L'Ultima Crociata, qui, con Indiana passato dall'altro lato della barricata generazionale, non riesce a decollare (problemi di sceneggiatura e anche di interpreti, con LaBoef che non è certo Connery) e persino l'ironia, che ha sempre costituito una colonna portante e vivificante della saga, appare spenta. Anzi, la scena di Indiana Jones che sopravvive ad un test nucleare rinchiudendosi in un frigorifero che vola per centinaia di metri sollevato dall'onda d'urto e si schianta a terra permettendo la fuoriuscita dell'illeso protagonista ha scatenato l'ironia sì, ma involontaria per l'assurdità e l'eccesso di inverosimiglianza (ad onor del vero va ricordato che anche all'inizio del Tempio Maledetto si vedeva una scena non meno assurda, giù da una aereo e scivolando su un ghiacciaio aggrappati ad un canotto gonfiabile).

 

Tra gli interpreti, un imbolsito Harrison Ford ci prova a rinverdire i fasti, ma non è più la stessa cosa; Shia LaBoeuf fa boriosamente il suo ingresso come Marlon Brando ne Il Selvaggio, ma il suo scapestrato figlio segreto di Indy non entusiasma e, come già scritto, non regge il confronto col nonno, precedente spalla; una quasi irriconoscibile Cate Blanchett dal caschetto corvino è una cattiva un po' cartoonesca, John Hurt e Jim Broadbent fanno quel che possono, ma neppure il ritorno di Karen Allen riesce a salvare la baracca.

 

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