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Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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La recensione su Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo

di lussemburgo
8 stelle

Dopo quasi vent’anni di lontananza dal personaggio, sia Spielberg che Ford riprendono con schietta freschezza la proficua collaborazione per raccontare le avventure di Indiana Jones. Sin dall’apertura, con implicito omaggio a American Graffiti di Lucas, mentore del personaggio, Spielberg ritrova la verve del grande affabulatore fantastico tralasciata con gli impegnativi progetti degli ultimi anni e riparte a giocare riesumando lo stile e il tono delle passate puntate come se avesse appena smesso.
I riferimenti più fitti riguardano I predatori dell’Arca perduta, capostipite e “pilota” della serie, da cui mutua il personaggio femminile della Allen (con una certa coerenza poiché i tre capitoli precedenti si susseguivano in ordine anticronologico, ognuno collocandosi temporalmente prima del precedente), mentre l’idea della serialità viene accentuata dalla presenza dell’erede, il figlio ignoto e aspirante archeologo (Jones III). E la serialità è in effetti un elemento ricorrente di questo episodio delle peripezie del professore avventuriero, con i precisi rimandi al primo film, di cui ripete anche la trama col desiderio impossibile di onnipotenza e di una onniscienza che dissolve il corpo nella contemplazione del proibito, ambito esclusivo dell’ultraterreno, gli accenni alla successiva serie televisiva derivata (Le avventure del giovane Indiana Jones), i riferimenti ad altri personaggi assenti (Jones Sr, l’amico collega, ecc.), nonché, stilisticamente, nei continui andirivieni temporali delle citazioni cinematografiche, dalle luci noir, al recupero dell’iconografia Fifties di Brando (Il selvaggio) e alle citazioni di situazioni note prelevate dagli altri tre capitoli. Indiana Jones vive di rimandi, è un esperimento di cinema di riferimento in cui tutto rinvia ad altro e si arricchisce per riflesso, sul costante filo ironico di un gioco premeditato e appariscente, volutamente coinvolgente per uno spettatore attento.
C’è anche un’inquadratura dell’Arca che si scopre nascosta nel deposito militare, e la originaria citazione di Quarto Potere si aggiorna all’Area 51, fulcro dei misteri esoterici americani, riferimento obbligato per ogni filone paranoico paranormale (X Files, Roswell ecc.) e introduzione della nuova tematica extraterrestre, di un ancestrale popolo di esploratori e collezionisti, archeologi ante-litteram che infondono delle loro conoscenze gli umani. Una conoscenza che si è ormai resa autonoma e potenzialmente pericolosa perché sono gli Anni Cinquanta della guerra fredda e del pericolo nucleare. I nazisti dei film precedenti sono stati sostituiti dagli altrettanto temibili sovietici, la tecnologia atomica devasta di esperimenti inquietanti il deserto dell’Arizona, la società è ossessionata dal controllo e l’FBI di Hoover invade vita privata e pubblica alla ricerca di cospiratori e traditori, mentre i nemici veri scorazzano imperturbabili sul suolo americano.
Nascosto tra le pieghe del divertimento, il monito libertario di Spielberg fa capolino nelle assonanze tra quegli anni e l’odierna società americana, così indifferente alle garanzie civili. E tra esplosioni atomiche, morti viventi, conoscenze perdute e aspirazioni totalitarie, Indiana Jones acquisisce una maturità cupa, si accorge dello scorrere ineluttabile del tempo e della permanenza del destino, nascondendolo dietro all’invecchiamento dei personaggi sviluppato con ironia e battute costanti, mentre prosegue nel gioco apparentemente futile di un perfetto passatempo, agile e movimentato, portato avanti con innegabile brio e sincero divertimento.

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