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L'amore ai tempi del colera

Regia di Mike Newell vedi scheda film

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La recensione su L'amore ai tempi del colera

di giancarlo visitilli
4 stelle

Per amore, solo per amore, non è solo il titolo del romanzo di Pasquale Festa Campanile, ma anche il sentimento dell’atteggiamento che ogni equilibrato spettatore, immaginiamo, abbia dinanzi a un film tratto da un capolavoro del premio Nobel alla Letteratura, Gabriel Garcia Màrquez. Infatti, se non fosse per il rispetto amoroso nei confronti del romanzo, nessuno, dopo il primo quarto d’ora, resisterebbe a restar seduto in sala.
Il film del regista di Quattro matrimoni e un funerale, Mona Lisa Smile, Donnie Brasco, ecc., tratto dall’omonimo romanzo di Márquez e ambientato a fine Ottocento in Colombia, narra la storia d’amore tra Fiorentino Ariza (interpretato dall’ottimo Javier Bardem), un telegrafista, e Fermina Daza. Sullo sfondo di una città, Cartagena, resa magica dalla penna di Gabriel Garcia Marquez, si consuma l’abbattimento del colera, che coglie all’improvviso gli impotenti attori e spettatori. Una malattia che l’aristocratico dottor Juvenal Urbino tenterà di debellare con la sua arte curativa. Sarà lui stesso a vincere le resistenze della futura promessa sposa, Fermina, sottraendola all'amore e al desiderio del giovane Florentino, deciso ad attraversare i giorni, i mesi e gli anni che lo separano da un'insperata (ri)conquista della giovane amata.
Forse voleva essere il panettone natalizio, il film intelligente, nonostante il natale, di Raicinema. In realtà “il colera” ha lo stesso odore e sapore degli altri panettoni di De Sica-Neri Parenti. Rispetto a questi ultimi film (?) citati, il film di Newell ha in più: gli exploit isterici dell’attrice de L’ultimo bacio, Giovanna Mezzogiorno, qui invecchiata in un modo da far paura, ma non per l’effetto delle rughe, ma soprattutto per il o la truccatrice, che sembra abbia avuto a che fare solo con i trucchi di Barbie. Si notino le barbe degli uomini: si vede il collante, anche in due primissimi piani. Insomma, un film da paura, ma non nel senso dell’horror. Ben peggio: si tratta di una paura che rischia di farti lasciare la sala, se non fosse per la nostalgia di chi ha letto un romanzo splendido come quello di Màrquez.
Insomma, alla fine, pare che il commento migliore a questo film sia proprio l’inversione delle parole dello stesso titolo: il colera, per dire il brutto, ai tempi dell’amore, quest’ultimo per intendere chi ancora ama un’arte che, per fortuna, resiste a tutte le malattie. Il cinema.
Giancarlo Visitilli



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