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Dealer

Regia di Benedek Fliegauf vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Dealer

di alan smithee
8 stelle

Una ordinaria giornata di un tranquillo, scrupoloso e organizzato spacciatore. Una macchina da presa discreta ma incisiva segue imperterrita il giovane dal momento in cui si sveglia a quando poco dopo inforca una bicicletta sportiva per concludere diverse consegne nei vari quartieri cittadini,rifornendo clientela abituale ormai dipendente dal suo intervento e totalmente succube delle terribili sostanze che il giovane smercia con disinvolta professionalità, garantendo forniture in tempi brevi e della migliore qualità (se così si può dire...).

Il ragazzo è, contrariamente alle aspettative e allo stereotipo dello spacciatore raffigurato in tanti (bei) film (ricordo con questa tematica almeno "Lo spacciatore "di Schrader e i tre "Pusher" di Nicholas Winding Refn, ma anche "The Pusher" di Matthew Vaughn con Daniel Craig anche in questo caso bello e professionale) un uomo di piacevole aspetto, educato, cortese, riflessivo, rispettoso delle problematiche che i diversi clienti gli rendono palesi, confidandosi, aprendosi a lui come di fronte ad un intimo confessore tramite il quale liberare i propri sentimenti più intimi.

La giornata tipo dello spacciatore gentiluomo prevede diverse consegne che lo vedono raggiungere, tra gli altri, il titolare di un centro benessere ricoverato in ospedale in fin di vita in seguito alle ustioni prodotte da una lampada abbronzante di un lettino sul quale si è malauguratamente addormentato, una ex compagna a cui i servizi sociali stanno cercando di levare dall’affidamento la figlioletta della quale il protagonista è convinto (o per lo meno desidererebbe) di esserne il padre naturale; un giovane ex promessa del basket che sceglie lui come fornitore perché si fida e perché solo lui può procurargli dosi tagliate bene ed in quantità decrescenti che gli permettano (come egli si illude) di uscire da quel tunnel senza fine. Poi rischia pure il linciaggio da parte della banda capitanata da una donna-boss il cui fratello risulta tra i suoi clienti abituali; il pusher viene pure salutato da un sedicente amico di scuola, che però non riesce a riconoscere in quanto travestito da bizzarro gigantesco dente molare a scopi promozionali, e trova il tempo di passare a far visita al padre vedovo, triste ed atono, come inebetito dopo che la moglie è precipitata (o si è buttata volontariamente) dalla finestra; disperato e senza speranza, l’uomo ormai anziano parla alla moglie come fosse ancora viva e si reca a farle visita non al cimitero, bensì nello squallido cortile sotto casa, presso la pozzanghera oleosa che la accolse nel suo volo verso il vuoto.

Diario intimo spesso tragico, a volte pure ironico, di un angelo della morte, o di un ruffiano magnaccia della devastazione umana, o di un beffardo diavolo dalla faccia angelica ed irresistibile che sa ascoltare, che sa quando è il momento di intervenire per dispensare consigli o riflessioni, e che scopre a poco a poco di essere pure lui, al pare dei disperati che rifornisce di dosi mortali, solo in un mondo senza speranze. Solo e isolato anche dopo che uno dei suoi primi affezionati clienti della giornata, il moribondo ustionato, gli ha addirittura regalato la sua avviata attività del centro benessere.

Allontanato dalla bambina che vorrebbe fosse sua, che si porta in giro in una breve gita in bicicletta, una saggia ragazzina alla quale desidererebbe fare da padre, lui giovane, benestante e in fondo assennato e scrupoloso più di tanti altri genitori (o della madre strafatta in modo irrecuperabile) solo al mondo ora che il padre vive in un mondo di follia depressiva tutto suo, al nostro protagonista non resterà che perdersi nell’ammaliante mondo sognante di un lettino abbronzante del suo nuovo centro benessere ricevuto in eredità quella mattina stessa. Nell’ultima fantastica ed interminabile inquadratura che procede a ritroso l’universo oscuro e freddo circonda quel lettino abbronzante che si rimpicciolisce sempre più come un’astronave alla deriva, il pusher riposa nudo ed esausto al suo interno come in un embrione materno che lo protegge e lo conduce chissà dove. Un gran momento di cinema questo.

Un bel film raro e per questo prezioso, pacato e riflessivo e proprio per questo ben più inquietante di tante altre pellicole dove il pusher, qui bello, educato e disponibile, viene invece rappresentato come una figura stereotipata e sopra le righe. Opera seconda di quel talentuoso regista ungherese che è Benedek Fliegauf, autore del recente interessante e un po’ furbetto Womb, e che in questa produzione del 2004 comunque non fa che confermare le sue spiccate doti di autore da tenere d’occhio e in piena considerazione per il suo promettente futuro cinematografico.

 

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