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You, the Living

Regia di Roy Andersson vedi scheda film

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La recensione su You, the Living

di spopola
8 stelle

Anderson costruisce le sue pellicole per quadri isolati, vedute del mondo, spazi definiti, personaggi che riassumono il non senso dell'esistenza. Opere sempre di straordinaria rilevanza comunque che formano un mosaico che potremmo definire cinema dell'assurdo quotidiano dal forte retrogusto amaro. Assolutamente da non perdere.

Un film, quello di Roy Andersson, che mette alla berlina i paradossi surreali dell’esistenza. Metafisico e astratto, crudele e al tempo stesso giocosamente grottesco, è una straordinaria ed affascinante sarabanda sul senso della vita, quasi un “finale di partita” che non ha “giorni felici” da rappresentare e ricordare nel quale vengono rispecchiati - proprio nella deformazione spesso stravagante della realtà che aiuta la riflessione - i turbamenti, le “cadute”, le paure inconsce e le insicurezze che accompagnano il passare inesorabile dei giorni di chi ormai da tempo (e la cosa ci riguarda tutti molto da vicino) non aspetta più nessun Godot (magari potesse farlo!!) e cerca di minimizzare esorcizzandolo, lo smarrimento per ciò che di definitivo gli sarà riservato alla fine del percorso accidentato della vita. La consapevolezza che emerge dalla visione di questa singolare opera strutturata in una cinquantina di fulminanti e concisi tableaux con personaggi spesso ricorrenti e al “limite”, è semmai quella di constatare con rammarico e sgomento che qualora davvero un Godot qualsiasi dovesse arrivare, non sarebbe meno incerto e spaventoso di quegli inquietanti bombardieri che volano schierati fra le nuvole e sopra la città, nella sintesi irreale e ansiogena della scena conclusiva che lascia aperta ogni ipotesi interpretativa. Forse (e questa è una mia personale chiave di lettura di quello che viene evidenziato sullo schermo) siamo semplicemente traumatizzati per ciò che stiamo diventando, e non vogliamo arrenderci all’evidenza e riconoscere (o semplicemente ammettere) che siamo tutti pericolosamente incamminati verso l’apocalisse e che molta strada è già stata fatta in quella direzione. Anche noi allora anziché rassegnarsi alla ineluttabilità di errori ed omissioni (che sono fisiologici, e come tali metabolizzabili per trarne insegnamento), come uno dei tanti favolosi personaggi della rappresentazione, invece di tentare l’adattamento o cercare di trovare soluzioni se non per eliminare il disorientamento per lo meno per renderlo meno opprimente, privilegiamo di gran lunga il lamento inconcludentemente infruttuoso del piangersi addosso, e vorremmo per questo avere a disposizione (o trovare qualcuno che ce la procurasse perché da soli non ne siamo capaci né abbiamo la forza di orientarci) “almeno una moto” (o ciò che simboleggia) “per tentare la fuga”, elevarci ed eludere “tutta quella merda nella quale siamo immersi e rischiamo di annegare”. Non vorrei comunque essere frainteso e scoraggiare con una visione intrisa di eccessivo catastrofismo, la disponibilità “ad accettare il rischio di entrare in sala”, di possibili fruitori in pectore: il film ha un forte retrogusto amaro, ma è tutt’altro che tragico nella sua esposizione, anzi!! Lascia spesso scaturire risate liberatorie (ma non consolatorie) nel suo continuo mischiare l’umorismo beffardo della gioia di vivere con il pessimismo quasi senza speranza, che deriva da una visione “disperatamente anarchica”, critica e corrosiva, ma non per questo meno “gioconda”, di quel “disadattamento” generalizzato che ha origine nella difficoltà oggettiva misurarsi ed affrontare il mondo contemporaneo e le sue anomalie. Lo fa con una leggerezza di tocco decisamente inconsueta che gli consente di abbordare temi così profondi e universali che riassumono il non senso dell’esistenza stessa, con una vena comica e iconoclasta curiosa e travolgente. Ottime tutte le “facce” e i corpi utilizzati, splendidi attori che stanno al gioco e lo assecondano, aumentando il senso straniante attribuibile alla dimensione spesso bizzarra degli assurdi personaggi che sono chiamati a rappresentare e che ci restituiscono con invidiabile naturalezza, attraverso la stralunatezza trasognata di una mediazione interpretativa davvero degna di nota. Colonna sonora inconsueta e singolare, così personale e convergente, da diventare uno dei contributi più significativamente positivi nel bilancio complessivo della valutazione dell’opera. Originalissimo il disegno registico di un autore non molto prolifico ma sempre straordinario (stando alle indicazioni biografiche e considerato i riconoscimenti che ha ottenuto, perché purtroppo io conosco in effetti solo questa sua opera e sento forte il rammarico di non averlo incontrato prima sulla mia strada, ma davvero, non è solo colpa mia: le responsabilità sono imputabili principalmente alla deprecabile situazione distributiva del mercato italiano sorda al “richiamo” di certi gioiellini di nicchia che meriterebbero invece una attenzione prioritaria). Un innovatore insomma che ha il coraggio di rompere gli schemi della narrativa classica riproducendo in maniera assolutamente anticonvenzionale, questo piccolo campionario di umane debolezze che fa persino tenerezza, grazie a una stilizzazione prismaticamente sfaccettata che non teme il pericolo dell’incoerenza narrativa, ampiamente utilizzata fino a farla diventare la vera arma vincente.

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