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Meduse

Regia di Etgar Keret, Shira Geffen vedi scheda film

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La recensione su Meduse

di obyone
8 stelle

 

scena

Meduse (2007): scena

 

A Tel Aviv va di scena un matrimonio. Ivi, tre donne incrociano le loro sconosciute esistenze dando il via alle loro storie:

 

JOY

Joy è filippina e lavora come badante. Al proprio paese ha lasciato il figlio al quale ha promesso in regalo una nave giocattolo. Intanto sogna di ricongiungersi alla famiglia che sostiene grazie agli ingrati lavori che le vengono assegnati, come la scorbutica Malka. La vecchia e la badante sono divise da un abisso di incomunicabilità apparente. Joy non parla ebraico e Malka non conosce l'inglese e ciò non aiuta le due donne a comprendersi nonostante gli sforzi della più giovane. In realtà entrambe sono accomunate dalla sofferenza che si intuisce nella malinconica rassegnazione di Joy per la lontananza da casa, e nella durezza di Malka che, probabilmente, è scampata agli orrori dei lager nazisti. È la comprensione del dolore a spingere Malka fuori dal proprio ruvido guscio. Il passo successivo è un gesto inatteso suggellato da lacrime e abbracci che lavano via la tristezza e sanciscono il patto tra due solitudini. Il vento torna a spirare forte sulle vele di una nave pronta a solcare mari più dolci, e a raggiungere lidi meno rocciosi e ricolmi di speranza.

 

 

KEREN

Keren ha sposato il russo Michael ed il giorno delle nozze, durante i festeggiamenti, si rompe una caviglia. I due sposini sono costretti ad una luna di miele improvvisata in uno squallido hotel di Tel Aviv dove incontrano una poetessa che suscita le gelosie della giovane sposa. Michael fa del suo meglio per viziare la sua amata che si crogiola in una collera evidente. Niente riesce a farla sorridere, né il cambio di stanza, né una coccola del marito che spazientito dall'insofferenza della consorte preferisce passare il tempo in compagnia di una donna appena conosciuta. È sola ma ha prenotato una suite, quella che vorrebbe Keren per mettersi in pace. Pace che Michael trova in riva al mare dove una distesa di meduse spiaggiate lambiscono i suoi piedi. Le pulsioni più oscure dell'animo allontanano gli affetti, annientano la volontà e distruggono ogni aspirazione alla vita. Mentre la protagonista è chiusa nella propria gabbia di recriminazioni un gesto estremo si consuma lasciandosi dietro un inno alla vita da cui la giovane non può che imparare la lezione. Keren finalmente capisce quello che il marito già sà: l'amore è sufficiente.

 

 

BATYA

Batya lavora per un catering e dopo una giornata burrascosa finita con la separazione dal fidanzato e i rimproveri del principale incontra sulla spiaggia una strana bambina senza il dono della parola, adornata del solo costume da bagno e di un salvagente. Nessuno l'ha reclamata e nemmeno la polizia sa che farsene. Batya cerca di risolvere il mistero che aleggia intorno alla piccola. Un mistero che forse è solo il lungo sogno provocato da un trauma, forse è il prodotto di un montaggio anomalo o di una sceneggiatura distratta. Batya viene investita dal camioncino del gelataio. Quando in ospedale si sveglia ricorda tutto ciò che il tempo aveva rimosso: la coppia che litiga, il venditore di ghiaccioli, la bimba sola nell'acqua del mare che piange disperata e inerme. Tutto è chiaro: chi è la bambina e perché l'ha incontrata. Adesso è pronta a lasciarla andare nei profondi abissi da cui è scaturita. La consapevolezza e l’equilibrio raggiunti hanno il potere di cancellare un irrazionale senso di colpa che una leggerezza nuova sostituisce nell'animo della ragazza. Batya si era persa e si è ritrovata.

 

 

I coniugi Shira Geffen e Etgar Keret dirigono con visionaria eleganza questo "Meduse" mentre soggetto e script sono frutto del lavoro di Geffen, che si dimostra scrittrice originale ed abile in fase di stesura e caratterizzazione. Immerse in un contesto realistico e malinconico le storie di Keren e Joy seguono binari diversi rispetto agli avvenimenti che coinvolgono Batya e la piccola "pel di carota" pervasi, invece, da un'aurea di lirismo magico. L'approccio diverso utilizzato per raccontare l'animo umano ha senza dubbio conquistato i giudici di Cannes 2007 che hanno assegnato al duo israeliano la "Camera d'Or". Sicuramente ha riempito di meraviglia lo spettatore sensibile al fascino di immagini e sequenze criptiche e simboliche. Di indubbio fascino la sequenza che vede Batya alzarsi dal marciapiedi facendo intravedere dietro di se l'effige della madre raffigurata in un cartellone nell'atto di ripararla da una pioggia scrosciante. Un'allegoria che richiama un bisogno, da tempo represso, di casa e famiglia, di protezione e supporto. Da brividi la sequenza subacqua. Un soffio di piccole e trasparenti meduse fluttua, armonioso, nell'acqua del mare, come i ricordi e i dispiaceri ritornati prepotenti a galla, ma ormai innoqui, e spinge Batya verso il pelo dell'acqua, verso una nuova vita appagante da vivere, senza più alibi e puerili rimorsi.

Un film molto bello che in soli 80 minuti lascia dietro di sé suggestioni che ci cadono addosso impetuose come l'acqua accumulata in una stanza allagata o ci avvolgono lievi come il mare placido dopo la tempesta.

 

RaiPlay

 

 

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