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Leoni per agnelli

Regia di Robert Redford vedi scheda film

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La recensione su Leoni per agnelli

di Decks
4 stelle

Dopo sette anni, Robert Redford torna alla regia per affrontare il tema della guerra: il suo scopo è quello di risvegliare le menti dei giovani imberbi, così imbevuti di paroloni e patriottismo, dal ritenere lo stato di belligeranza un modo per mettersi in gioco e far valere i loro diritti.

 

Sicuramente al cineasta americano preme molto che lo spettatore si faccia più domande sul destino della propria nazione e sui vari perchè dei conflitti che gli Stati Uniti, stavano, e stanno vivendo.

Per farlo, vengono suddivisi tre ambienti in perfetto stile di pièce teatrale. Esso è uno dei punti di forza del film: Jan Roelfs realizza un ottimo lavoro creando una stanza della politica, una stanza del sapere e un teatro della guerra in cui si svolge la parte più action del racconto. In ognuno di questi risicati ambienti vi è un confronto tra due parti:

 

L'ufficio di un importante senatore, in cui si tiene un difficile duello tra stampa e potere politico: Irving usa le parole che ogni statunitense conosce, quelle del diffondere la democrazia anche con la forza, frasi intinte in un velo di superbia ed ipocrisia, una vera e propria faccia di bronzo che mente e concede interviste solo per la propria popolarità; un gioco, il suo, che strumentalizza la stampa per i propri fini, con la conseguente domanda del se sia giusto mandare in onda o meno una simile intervista.

 

 

l'altro, è lo studio di un professore, qui vi è la più classica delle contese, quella tra studente e professore: la saggezza di un professore, che ha vissuto e compiuto errori e cerca così di far comprendere ad un giovane le cose veramente importanti della vita. Lo studio, l'avere un proprio pensiero e non essere delle pedine in mano ad un sistema di avvoltoi che spolpano e modellano a loro piacimento le deboli menti.

 

 

 

L'ultimo è un campo da battaglia afghano: la battaglia che si consuma qui non è più verbale, ma armata, in un clima buio e funesto i due giovani e valorosi leoni affronteranno, non solo le intemperie, ma mostri invisibili che vogliono la loro vita.

 

 

 

Insomma, quello di Redford è un film politico che con l'ultima scena sembra voler proprio parlare a nome dei giovani d'oggi: gli unici che hanno il reale potere di cambiare le cose e migliorare il proprio paese.

Eppure il modo con cui Redford pone dialoghi, scene e tematiche è del tutto superficiale, a tratti persino banale; gli ideali passano confusi e le critiche al sistema interventista, tipico degli USA, non sono così profonde dall'essere inopportune per il sistema politico, anzi, a malapena scalfiscono i lati negativi e per di più vengono affrontati in una maniera che oltre ad essere mediocre, rischia di far pensare che Redford volesse solo avere audience, senza però, disturbare nessuno.

 

Ernest ed Arian si ritrovano a combattere come altre decine di film dal medesimo stampo: i due non dubiteranno un istante della scelta fatta, limitandosi a sparare continue raffiche di colpi e attendere la salvezza, che ovviamente giunge e miete vittime senza alcun ripensamento da parte dei due. Ernest ed Arian rimangono ancorati ai loro pensieri iniziali e la loro storia è quella di ogni action che si rispetti, visto e rivisto e con una così forte retorica da infastidire qualsiasi spettatore.

 

Anche le sceneggiature usate da Redford e Andrew Garfield sono patetiche: i loro discorsi non decollano e non appassionano, non perchè non ci sia buona volontà, ma a causa dell'enorme scontatezza; all'inizio possono interessare, ma la noia sopraggiunge rapida in questa diatriba che si può ridurre ad una semplice ramanzina di un professore, che, oltretutto si comporta in maniera altezzosa e saccente.

Redford è tutto ciò che non dovrebbe essere un buon professore e Garfield è ridicolo, raramente si è vista una recitazione più deplorevole.

Fortunatamente Meryl Streep e Tom Cruise non tediano, anzi è la parte più interessante del film, ed è anche l'unica che prova realmente a smascherare il modus operandi e gli astuti discorsi di politici attratti esclusivamente dal potere. 

Tom Cruise incarna le contraddizioni dell'America odierna e la sua diretta responsabilità nella morte di giovani reclute, tutto a favore di un pensiero guerrafondaio che ha dietro forti direttive economiche.

Meryl Streep invece è costretta ad essere un vile mezzo propagandistico, il suo settore è anch'esso colpevole di voler cercare la notizia che faccia ottimi ascolti, anzichè seguire una morale, la giornalista dubbiosa e insicura crea un percorso, che anche se sconclusionato, è interessante.

 

La regia di Robert Redford si rifà alle tecniche attuali di ripresa senza alcun reale segno di professionalità: difatti è piena di errori e nella parte action non funziona per niente, data l'età del regista, è un peccato che somigli ad uno dei tanti, purtroppo, shooter, che nelle parti più tranquille tiene la cinepresa immobile per paura di sbagliare.

Il montaggio, però, è sicuramente l'aspetto meno riuscito dell'intera pellicola: Joe Hutshing realizza un completo disastro. Non azzecca un tempo, ed è anche a causa di esso che il film risulta disordinato e sconnesso; le tre storie si susseguono malamente, col risultato che lo spettatore, non solo resta spaesato, ma si scorda dei già poveri dialoghi che vengono messi da parte, per ricollegarsi ad un altro filone in fretta e furia. Insomma per farla breve, il montaggio si è limitato a mescolare tutte le scene e tagliarle grossolanamente. Un'accozzaglia disorganizzata.

 

Le intenzioni di Redford sono nobili, ma a parte l'intreccio narrativo della Streep e di Cruise il resto è insufficiente e incompleto, con interpreti miseri (tranne i due sopracitati), una regia dilettantistica e un montaggio pessimo.

Forse essere americani avrebbe aiutato ad apprezzarlo di più, ma in questo caso non ci si perde nulla a non vederlo.

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