Regia di Robert Redford vedi scheda film
Se si dovesse riassumere questo film con una parola chiave, la parola sarebbe "impegno". L'impegno globale dell'America di George Bush, che nei primi anni del XXI secolo avoca a sé il ruolo di gendarme del pianeta anche a costo di cocenti sconfitte militari (Afghanistan e Irak) e morali (Abu Ghraib); ma anche l'impegno individuale dei singoli cittadini nei valori fondanti della democrazia o più semplicemente nei propri principi personali, come argine all'indifferenza e al solipsismo di cui ogni giorno ci porta nuove prove. "Impegno" (engagement), infine, è il titolo scelto dai giovani Finch e Rodriguez per una presentazione fatta ai colleghi del corso di scienze politiche, e che si conclude con l'annuncio della loro decisione, in nome - appunto - dell'impegno, di arruolarsi nei reparti dell'esercito USA di stanza in Afghanistan. L'America di Leoni per agnelli è stretta nella morsa tra volontà di reagire allo shock collettivo dell'11 settembre e i primi ripensamenti collettivi dopo le prime fallimentari incursioni nei cosiddetti rogue countries, e i tre protagonisti incarnano le varie facce di questa contraddizione. Si tratta di temi e riflessioni vitali nella storia già travagliata di questo primo scorcio di secolo, sennonché sul piano puramente cinematografico il film è insignificante. Scritto da Matthew M. Carnahan, che in origine sembra avesse pensato a un testo teatrale, Leoni per agnelli sembra la trasposizione cinematografica senza nerbo di una pièce di teatro qualunque. I protagonisti non fanno che parlare, e la loro verbosità, già inconcludente, diventa in certi casi un pomposo birignao. Il cast stellare reagisce come sa e come puo' alla quasi totale mancanza di azione (un minimo di azione in effetti c'è, ma si svolge, come un controcanto, a migliaia di chilometri di distanza, in Afghanistan). Se Meryl Streep, nei panni di una giornalista politica, si limita a prendere appunti e a sollevare di tanto in tanto qualche obiezione sensata in vista di una breve scena-madre finale, Tom Cruise e Robert Redford (nei panni di un professore piacione che si crede Robert Redford) sproloquiano praticamente per tutto il film, con poco costrutto. Le parole passano, i dubbi restano. Lo stesso finale, con la morte dei giovani volontari per mano dei talebani, solleva più di un interrogativo sulla portata e sul valore effettivo di quell'impegno di cui si è concionato fino ad allora. Le giovani generazioni devono poter credere in qualcosa, spingendo magari la loro dedizione fino alle estreme conseguenze (Finch e Rodriguez si alzano in piedi, in un ultimo, povero scatto d'orgoglio, dinanzi ai loro assassini), oppure semplicemente "fare qualcosa" (sono parole del prof. Malley) per scrollarsi dal torpore esistenzial-televisivo che li minaccia? I giovani soldati morti in quelle zone remote di guerra sono, alla fin fine, degli eroi o degli esaltati? Lo spettro del Vietnam e dei suoi strascichi, peraltro ampiamente citati in questo film, è dietro l'angolo: ignorare la storia potrebbe condannare l'America a riviverla.
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