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Jesus Christ Superstar

Regia di Norman Jewison vedi scheda film

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La recensione su Jesus Christ Superstar

di Aquilant
8 stelle

Si apre con un paesaggio arido, brullo, collinare, tra resti archeologici in primo piano, colonne, rovine ed impalcature di ferro questo film diretto da Norman Jewison che ci propone un’ardita quanto improbabile commistione tra il mondo hippy e quello del Vangelo, sicuramente entrato a pieno titolo nell'immaginario collettivo di più di una generazione grazie anche alla sua colonna sonora da favola. Sorprendono a tanti anni di distanza la freschezza dell’impianto narrativo ed il grande senso della scena da parte degli interpreti che sanno muoversi con grande disinvoltura dando il via ad una serie di sfavillanti scenografie che ci restituiscono intatti nel tempo nostalgici frammenti di anni ruggenti perduti ormai fra le pieghe della memoria. Il film è chiaramente dotato di un senso del sacro rivisitato in chiave hippy, vale a dire in maniera decisamente poco spirituale ma grondante al contrario di una materialità che sprizza perfino dai pori delle rovine che fanno da sfondo alla storia. E’ innegabile che la “beat generation”, pur avendo introdotto a suo tempo nel mondo una ventata di modernità, sia da considerare come un’era di trasgressione non tanto per gli estrosi abbigliamenti dei figli dei fiori o per le loro fluenti chiome quanto per la liberalità e prodigalità con cui i suoi adepti si sono prodigati a galleggiare nell’universo dell’ LSD e delle droghe in generale. E’ da citare a tale proposito quale esempio estremamente negativo il libro di poesie “Juke box all’idrogeno” di Allen Ginsberg, poeta della beat generation, in cui il rituale della droga viene portato alle sue estreme conseguenza ed elevato agli altari in nome di un’ipotetica sacralità. Per tornare a “Jesus Christ Superstar”, è da ritenere che la commistione di cui si è fatta menzione più sopra sia da considerare quanto mai inopportuna data la totale inconciliabilità fra questi due mondi (si pensi a riguardo ad un episodio del film “hair”, altro ritratto della beat generation, in cui con una robusta dose di pessimo gusto viene scimmiottato in un parco il rito dell’eucaristia con una pasticca di LSD al posto dell’ostia consacrata). Oltretutto la figura di Gesù nel film appare poco intrisa di quel minimo di spiritualità che si richiede ad un film imperniato sulla sua predicazione terrena. Tale caratteristica risalta maggiormente nelle sequenze con Maria Maddalena che in un vero e proprio travisamento del Vangelo viene presentata come una donna morbosamente infatuata. L’amore che traspare dalle sue liriche (le indimenticabili “I don’t how to love him”, “everything’s all right” e “could we start again, please?”) é totalmente, palpabilmente carnale ed i versi lo confermano: “Should I bring him down, should I scream and shout, should I speak of love, let my feelings out, I never thought I'd come to this - what's it all about?” Tale figura di donna è carne e sangue in continua ebollizione, un corpo che freme e spasima d’amore per un Messia che non potra mai essere suo nel senso materiale del termine. In tal modo chi si aspetta una vera e propria rivisitazione del Vangelo in musica rimarrà ovviamente deluso, essendo il copione oltremodo diverso da quanto ci è stato tramandato dai quattro Evangelisti. E’ posta qui principalmente in risalto la figura di un “Giuda Superstar” teso ad incoraggiare la trasformazione del Messia da guida spirituale a condottiero in grado di dominare le folle per spingerle a liberare la Palestina dall’odiato invasore romano. D’altra parte, essendo il film tratto dall’omonimo famosissimo musical di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice, il regista si è premurato di non alterare la trama, dando libero sfogo alla sua creatività nelle scenografie e nelle riprese che hanno come sfondo il deserto (mirabile la scena dei carri armati che spuntano dal nulla) creando le suggestive architetture di una Gerusalemme costituita da ardite impalcature metalliche. A conferma di quanto affermato finora, non viene fatto il minimo accenno alla Resurrezione, sostituita da un finale in cui, riallacciandosi all’incipit del film, gli attori si calano nuovamente nei loro panni originali, quasi a dimostrare che in fondo qui non si é voluto fare granché sul serio né ci si é voluti cimentare con qualcosa di troppo grande.



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