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Onora il padre e la madre

Regia di Sidney Lumet vedi scheda film

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vincenzo carboni

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Onora il padre e la madre

di vincenzo carboni
10 stelle

Il centro di questo film sta al minuto 31,37. Subito dopo l'oblio artificiale asetticamente donato dalla droga, Andrew Hanson (acqua tonica) si confessa, seduto mollemente sulla poltrona («Io non sono la somma delle mie parti»), adagiato sui postumi della sbornia tossica. Il pusher concede l'assoluzione per poter ancora continuare a peccare, e disobbedire al comandamento (onora il padre e la madre!) che per qualche motivo non è uguale agli altri, come annuncia l'edizione italiana. Forse perchè è la porta dietro la quale ci si potrebbe lasciare andare al superamento del padre per orgoglio ontologico. 'Onora il padre' è il comandamento che permette l'integrazione ultima della propria mente. È il limite dell'umano agire. La somma delle parti non fa il soggetto, ecco la terribile verità. Ecco perchè onorare il padre è così ordinatorio della nostra integrità, perchè il padre dovrebbe sempre far tornare la somma umana che si è, dovrebbe comprare il resto invenduto di suo figlio e farne un tesoro, un pezzo unico, quello mancante per lui, quello che gli serve per essere uno, almeno fino al taglio seguente che inevitabilmente la vita aprirà nel soggetto. Parlo del tesoro dei poveri, quel significante che è sempre di avanzo rispetto ad un conto immaginario. Secondo il diafano e sacerdotale pusher una moglie dovrebbe arrivare a riempire ciò che non colma più il padre, secondo la sommatoria immaginaria per cui con l'oggetto amato si fa sempre uno. Il carrello in avanti discende leggermente dall'alto per farci avvicinare quasi timidamente ad incontrare la profonda verità umana di Andrew Hanson. Quel carrello -la più bella figura retorica di Lumet non solo in questo film- è lo sguardo che ci fa fratelli di una unica intima mancanza. Quante volte abbiamo fatto a noi stessi la medesima confessione, a noi stessi e a nessun altro, nemmeno ad uno psichiatra, affondando nello stesso stato di prostrazione morale prossima per intensità quasi alla morte, da cui pur se ne ricava quel godimento depressivo attraverso il quale parla a noi la nostra stessa ferita che mai cessa di aprirsi. Solo di confessione si può trattare per quanto riguarda quel tipo di verità umana che è impossibile da dire se non a sè stessi seppure nella forma inevitabile dell'enigma; mai ad una moglie («Potevo aiutarti»), non ad un amico, meno che mai al proprio padre se non nella forma rabbiosa della rivendicazione aggressiva («Sei sicuro che sia tuo figlio?»), o della lucida follia predatoria che fa del furto alla gioielleria di famiglia il semplice avanzamento del diritto a riprendere un maltolto. I conti non tornano benchè Andrew Hanson conosca tutti i trucchi applicati al proprio mestiere di immobiliarista. Non tornano neanche negli affetti, nel sesso, dove la propria erezione non obbedisce all'amore, è questa stessa resto indivisibile, impossibile da celare, da nascondere con un trucco. Il montaggio frammenta a propria volta il corpo del film, facendo della pellicola stessa un corpo spezzato: interrompe, riparte alle nostre spalle o a quelle dei personaggi che risultano apparire alla stregua di topi da esperimento chiusi in una casa di specchi deformanti guidati solo dalla ricerca di sollievo per la propria angoscia. Il carrello su Andy nella casa dell'oppio si fa occhio dello spirito che si avvicina all'oggetto invisibile non per trapassarne la superficie che crediamo ci separi dalla verità dietro l'immagine, ma ci accosta a ciò che sta per aprirsi su di essa, a far precipitare noi stessi con Andy, a sentire con lui l'angoscia che per un attimo si fa parola sommessa, interpuntata dall'affanno, dalla rivelazione di un linguaggio che sale da un abisso. Non resta che far parte anche noi del quadro, reperirci come soggetto proprio nelle parole quasi estatiche di Andy. Per noi pubblico non resta che reperirci lì, o non trovarsi mai. Il corpo e il sangue del dio che toglie i peccati del mondo generando una pausa nel meccanismo incessante del Reale è per paradossale ironia l'Oppio, che nell'incoscienza generatrice si fa incanto del simbolico, si fa parola che si dimentica nell'atto stesso di essere detta: se non ci fosse il cinema, se non ci fosse Sidney Lumet!

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