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Away from Her. Lontano da lei

Regia di Sarah Polley vedi scheda film

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La recensione su Away from Her. Lontano da lei

di giancarlo visitilli
8 stelle

Gestire la degenerazione del compagno/a che si ama, è un compito che fa parte dell’indissolubilità dell’amore. Specie se si è insieme da oltre quarant’anni. Come nel caso di Grant e Fiona, che di quei quarant’anni hanno vissuto insieme ogni singolo istante, tra le nevi dell’Ontario. Il gelo, al modo di una sorta di glaciazione, arresterà i ricordi, il tempo e lo spazio dei due amanti, a causa della grave malattia, l’Alzheimer, che si impossesserà di Fiona. Suo malgrado, Grant accompagnerà la sua amata in una casa di cura, e per tutto il primo mese di ricovero non potrà andarla a trovare. Se per lui, la distanza e la separazione a cui è costretto, risulterà impossibile, in Fiona avrà tutt’altri effetti.
Senza ombra di dubbio, l’attrice canadese, Sarah Polley, esordendo nella regia, con questa versione cinematografica del racconto della connazionale Alice Munro, contenuto nella raccolta “Nemico, amico, amante...” (Einaudi), ha creato un capolavoro, lavorando per sottrazione (al contrario di quanto si può immaginare con una storia simile). Deprimente, emotivamente forte e commovente, sono solo alcuni degli aggettivi che si possono utilizzare per esprimere i sentimenti a cui dà origine questo film. Tutto merito di una straordinaria artista come la Polley, giovanissima 27enne, più volte chiamata da Atom Egoyan (qui produttore esecutivo), che abbiamo conosciuto anche attraverso la bravissima Isabel Coixet (La mia vita senza me, La vita segreta delle parole).
La storia sembra scritta e fatta apposta per essere interpretata dall’eccellente Julie Christie (vincitrice del Golden Globe e candidata all'Oscar), la cui bellezza e bravura é senza tempo, e Gordon Pinsent, chiamato ad interpretare la speranza dell’inetto a vivere, perché ormai privo dell’essenziale.
Si vorrebbe fermare il tempo, ma nello stesso tempo accelerarlo, perché il presente è descritto come un privilegio ed una condanna al tempo stesso. Anche le musiche del film, a proposito, hanno un senso: le fughe di Bach (suonate anche con la chitarra elettrica), di contro alla lentezza dei movimenti della macchina da presa, rimarranno memorabili. Semplicemente, poesia.
Insomma, un film sul senso della vita, ma anche della morte. Della malattia, ma anche dello stare bene con sé stessi e con gli altri. Un film d’amore, vero, di quelli che non se ne vedono mai di così belli al cinema. La frase: “Ora se non le dispiace vorrei salutare mio marito, non ci siamo mai separati per un mese in questi ultimi 44 anni”, fa molto più pensare, rispetto alle tante e noiose prediche sulla fedeltà nel matrimonio. A prescindere dai pulpiti da cui si predicano.
Giancarlo Visitilli

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