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Io non sono qui

Regia di Todd Haynes vedi scheda film

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La recensione su Io non sono qui

di lussemburgo
8 stelle

A differenza degli altri biopic, ricostruzioni più o meno cronologiche della vita di personaggi famosi, Todd Haynes non cerca la verità storica. Anzi, dissipa immediatamente ogni dubbio spezzando la personalità di Bob Dylan in svariati personaggi e lasciando che ognuno di essi viva autonomamente, nel suo tempo, a suo modo e con quella specifica identità anagrafica fittizia che imprime al singolo spezzone del film uno stile peculiare. Io non sono qui, come recita il titolo, mira a deviare dalla verità biografica per arrivare ad una più profonda sincerità, esistenziale e psicologica, costruisce un ritratto poliedrico di un personaggio proteiforme e contraddittorio che ha sempre amato nascondere parte della realtà (sin dal proprio nome) e che non si è mai curato della supposta illegittimità dell'incoerenza.
Pur rifacendosi alla percezione pubblica di Dylan nei suoi diversi aspetti (politico, retorico, intimo, musicale) e affidando ciascuna visione ad un interprete ben distinto, pur sfruttando l'iconografia dell'epoca per ricostruzioni parziali del percorso storico del cantautore, Haynes tenta di ritrarre la persona dietro ai personaggi, sebbene questa "persona" spesso altro non sia che un'ulteriore maschera. E abolisce la struttura cronologica, spostandosi nel tempo e nello spazio, con un filo conduttore narrativo che si avvale principalmente della metafora, dell'assonanza con la cronaca e di mezzi espressivi disparati. Così il viaggio nella personalità di Dylan è anche l'attraversamento di un certo cinema, dalle avanguardie storiche a quelle delle nouvelle vague più impegnate, senza tralasciare il l’onirismo di Fellini o di Cocteau, né il percorso registico dello stesso Haynes, fatto di sperimentazione poetica e di devoto, consapevole calligrafismo, cangiante a seconda dei mezzi e dei temi dei film. Il regista trova in Dylan un soggetto a lui consono e, al di là della fascinazione per la personalità del cantante o per la sua musica, compone col menestrello di Duluth una tappa di un percorso d'autore coerente, la cui mutevolezza apparente nasconde una profonda unità tematica.
Le inquadrature sono spesso mobili, carrelli laterali che avanzano lentamente come un panorama visto dai finestrini di un treno o di una macchina in movimento. Il film è un viaggio in un'identità che si sottrae alle definizioni, che guarda e rielabora un mondo che a sua volta la spia e vorrebbe decifrarla, mentre le due parti si scrutano dai lati del vetro vedendo il proprio riflesso. Attraversando ricostruzioni di finzione, lo stile giornalistico dell'intervista e del reportage televisivo necessariamente frustrante, l'evocazione storica, la ricostruzione ipotetica, la metafora intima, o la fedele illustrazione delle musiche e dei testi, il film ricerca la definizione di un' identità evanescente e variabile, spostandosi costantemente tra l'intimo e il pubblico, tra la persona e il personaggio. Quando più si attiene alla riconoscibilità esterna dei segni noti ed è inserito nel suo tempo, Dylan è guardato dall'esterno, scrutato con la stessa insolenza curiosa dei suoi contemporanei, mentre la narrazione in prima persona prevale allorché Haynes tenta l'introspezione, si allontana dal dato storico e biografico per parlare per immagini, preferisce alla cronaca la poesia, quel linguaggio figurato, traslato e criptico, che abita i testi del cantante e che finisce, più di un comizio o di una confessione autobiografica, a trasmetterne un'intima verità. Io non sono qui è un percorso visivo ed emozionale in musica, non sempre subito decifrabile, la cui libertà stilistica è il segno di un atteggiamento narrativamente disinvolto che rifiuta ogni conformismo e predilige la sincerità di una scelta fuori dagli schemi, che sono sempre altrui, dando parole e voce ad immagini evocanti Dylan.
Più volte nel film si afferma l'impossibilità di essere capiti. E in fondo, l'inutilità di esserlo. Ognuno ha le sue ragioni, sebbene a volte siano oscure a se stessi. Rimane solo la libertà di accettare le proprie contraddizioni, cercare quell'onestà interiore che è l'unico sinonimo accettabile e riconoscibile di libertà, interiore e sociale, i cui parametri sono però individuali e mutevoli, e che si può a volte apparentare alla felicità. Il resto, solo supposizioni.

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