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28 settimane dopo

Regia di Juan Carlos Fresnadillo vedi scheda film

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La recensione su 28 settimane dopo

di scapigliato
8 stelle

Difficile rifare il sequel di un film di culto, riuscitissimo e spiazzante, che in più apportava un’innovazione radicale come la rivoluzione romeriana del ’68: qui gli zombi corrono! E Juan Carlos Fresnadillo, dopo “Intacto”, restituisce la perfezione del capitolo precedente attraverso una storia inquietante, scomoda, narrata con ritmo, senza fronzoli o ripensamenti morali. É un film impietoso, che la speranza la fa solo intravedere. Si vede che è un prodotto dal respiro europeo, sebbene di consumo. E questa è la sua forza. Essere un film da botteghino e dirla comunque lunga su tante cose. Non da ultima, la novità specifica del film. Infatti, recentemente sono aumentate le pellicole horror, più o meno autorevoli, in cui i militari sono al centro della narrazione: “Dog Soldiers”, “The Hills Have Eyes 2”, “Planet Terror”, “Severance” e lo stesso “28 Giorni Dopo”. Anche il suo sequel non si risparmia una radicale critica, pur salvando il salvabile, al mondo militare. Nella fattispecie la scena incriminante è il massacro indiscriminato di infetti e uomini sani da parte dei cecchini. L’ordine di fare fuoco su ogni cosa che si muova non è fantascienza, accade. Poco serve fissare la camera sui visi inquieti dei soldati: alla fine sparano, e l’ordine potevano evitarlo. Non evitandolo permettono alla dialettica sociopolitica del film, prodotto esecutivamente anche da Danny Boyle, e si vede, di essere radicale e senza mezzi termini. Nonostante i soldati “buoni”, nonostante l’estremità della situazione che prevede solo il codice rosso, nonostante tutto, il male minore era possibile. Ma l’idea militare di controllo e dominio non prevede l’alternativa pacifica, e di fronte al Male, se questo è, bisogna ricorrere solo all’ordine e all’obbedienza, all’indiscriminata pulizia spartana (il riferimento a “300” è voluto). Questo massacro dai tetti fa il paio con l’altra sequenza shock: l’assalto al cottage. In questo prologo diretto da Boyle, e si vede!, Robert Carlyle fa una scelta che avrebbe avuto maggiore successo narrativo e riflessivo se il suo personaggio fosse restato “buono”. Convertendolo in infetto il pubblico lo percepisce come il nemico, il male, il cattivo di turno da abbattere e non può quindi interrogarsi su ciò che di sociopatico il film sta gradualmente tirando fuori. Le relazioni famigliari, così come quelle sociali in generale, si misurano con l’aggressività (vedi il rapporto padre-figli). La forma di governo possibile è la sorveglianza, la permanenza militare, l’ordine e la disciplina. Non siamo nei dintorni di “V per Vendetta”, qui non c’è un governo distopico da abbattere, ma un Male virale che è la morte del genere umano. Di fronte a questo, è giusta la legge marziale, l’intervento politico dei militari, o lo Stato Poliziesco? Domande a cui non saprei rispondere, ma che il film di Fresnadillo, che se non è geniale come Boyle sa almeno confezionare con intelligenza un prodotto del nuovo millennio, mette bene in evidenza, mettendo il piccolo “antidoto” al virus, il bravo Mackintosh/Andy, in una aperta contesa tra militari e civili. Che tradotta può diventare una contesa tra ragione e spirito, tra ordine e alternativa, o alle sue estreme considerazioni diventare addirittura una contesa tra Male (militari) e Bene (civili).
Il film è comunque una delle poche cose buone che arrivano dall’horror di oggi. E non solo per i contenuti, che si sa, diventano comprensibili grazie alle metafore che solo il genere può presentare, ma anche grazie alla forma, al linguaggio cinematografico adottato. Qui è un linguaggio postmoderno, che contamina lo sguardo della camera con le “soggettive tecnologiche” di videocamere, mirini, infrarossi; che riprende l’azione con camera a mano, per rifinirla con il montaggio sincopato e malato della frenesia videoclippara; immagini sgranate; intuizioni splatter notevoli che rivaleggiano con il coevo “Planet Terror”, anche per una identica scena di smembramento fatta con le pale dell’elicottero (vince per sgradevolezza, impatto visivo e lunghezza, la sequenza di “28 Settimane Dopo”). Rimane il fatto, la pecca, che il film sia vietato ai minori. Certo le scene sono forti. Ma che differenza c’è tra un film come questo in cui i militari sparano indiscriminatamente sulla folla, in cui la follia collettiva è pericolosa tanto quanto l’intervento militare, in cui esplosioni, sparatorie, pulizie varie vengono scelte come unica soluzione; che differenza c’è tra un film come questo e uno sparatutto americano filogovernativo in cui i militari sfracellano molta più gente, sempre civile, riportando ordine e giustizia, così dicono loro, che differenza c’è? Perché a questi ultimi film non viene dato lo stesso divieto? Anzi, a momenti i ragazzi li fanno andare al cinema gratis purchè si convincano che l’intervento bellico è giusto, voluto da Dio, e altre stronzate.

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