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In questo mondo libero...

Regia di Ken Loach vedi scheda film

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La recensione su In questo mondo libero...

di logos
9 stelle

Scritto da Paul Laverty, Ken Loach ci immerge nel mondo della contemporaneità, la cui libertà è la flessibilità totalizzante del capitale, che con la sua imperterrita regolazione dell’esercito industriale di riserva mantiene lo scopo di rendere stabile il saggio medio di profitto.

 

Per fotografare questo meccanismo di riproduzione sociale oramai plurisecolare, da Dickens alla Thatcher nulla è cambiato nella struttura essenziale, la m. d. p. focalizza la sua attenzione su un’agenzia privata di collocamento, che somministra lavoro interinale, principalmente a donne e uomini provenienti dall’Est. Ma in un contesto di darwinismo sociale esasperato, anche un’agenzia del genere deve tirare i remi per stare a galla, perciò licenzia Angie (una bravissima Kierston Wareing), la quale non si dà per vinta, e attraverso rapporti disarmonici con la sua famiglia, costituita dal padre e la madre e dal suo stesso figlio, cerca con la sua amica di tirare su, in clandestinità, un’agenzia in proprio,  sfruttando a giornata la forza lavora migrante, sia retribuendola in nero e facendo la cresta su tasse e contributi, sia elargendo a caro prezzo permessi falsificati di soggiorno.

 

Questa scelta di partire dall’agenzia interinale per evidenziare lo sfruttamento capitalistico è quanto mai opportuna, perché evidenzia tutto il dramma dell’immigrazione e la retorica schifosa della clandestinità, ma anche una borghesia famelica, nella quale si è sfruttati e si è costretti a sfruttare. Angie, infatti, riconosce di essere sempre stata sfruttata, ma come persona che condivide i valori della cultura borghese non esita a sfruttare a sua volta il mondo dell’immigrazione. E tale sfruttamento diventa anche più crudo, perché Angie è una persona del tutto normale, con le sue rivalse e le sue paure, con i suoi dissidi famigliari e l’amore per un figlio, che rischia di andare alla deriva per una figura materna assente, la quale, del resto, solo a stento riesce a colmare alcune delle sue lacune formative, a causa del tempo tiranno che la costringe a organizzare la macchina sfruttatrice del reclutamento. Si deve muovere tra i mondi famigliari  e sclastici, e in quelli pubblici della marginalità e dell’imprenditoria, passando attraverso quelli dell’illegalità, e la sua esistenza, in tutti questi sbalzi, presenta sfaccettature versatili e ambigue, di protezione e di rabbia per i marginali e per gli imprenditori, di incontro scontro con la famiglia e la scuola, di amore a fatica per il suo bambino, sentendosi schiacciata da quegli stessi valori in cui crede, perché non vede alcuna alternativa rispetto al capitale globale.

 

Perciò diventa anche interessante il dialogo di incontro e scontro con suo padre, che forse rappresenta il punto di vista indiretto dello stesso regista, per rimarcare un salto generazionale ma in un mondo la cui sintassi non solo è invariata ma è anche più orribile; il padre infatti, vedendola dirigere tutta quella forza lavoro si rammarica, e gli sembra di tornare ai vecchi tempi, quando vi è era il lavoro senza tutele, in condizioni di vera e propria schiavitù. Ma Angie non sa andare oltre le parvenze fenomeniche del mondo libero, si limita a dire che tutto è cambiato, che il lavoro non è più fisso, e che tutto quello che il padre ha fatto in trent’anni lei l’ha fatto in un anno soltanto.

 

Come risponderle, se non con le stesse parole di Loach: "Lo sfruttamento è cosa nota a tutti. Quindi non si tratta di una novità. La cosa che ci interessa di più è sfidare la convinzione secondo la quale la spregiudicatezza imprenditoriale è l'unico modo in cui la società può progredire; l'idea che tutto sia merce di scambio, che l'economia debba essere pura competizione, totalmente orientata al marketing e che questo è il modo in cui dovremmo vivere. Ricorrendo allo sfruttamento e producendo mostri".

 

Angie e tutto il suo seguito sono il prodotto di un mondo che oramai sembra essere l'unico vincente, ma che Loack come sempre non esita a evidenziarne, senza moralismo ma con lucido materialismo storico, le ineludibili contraddizioni anche sull'esistenza, come quella di Angie, costretta a essere la personficazione della tirannia di cui è effetto e causa, in un circolo vizioso che è poi quello di un mondo che ha finito per organizzarsi sullo scambio di merci quale soggetto imperante di ogni esistenza, a prescindere che tale esistenza sia dentro o fuori la barricata della "libertà".

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