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Nella valle di Elah

Regia di Paul Haggis vedi scheda film

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La recensione su Nella valle di Elah

di ROTOTOM
4 stelle

Anche gli americani hanno il loro cinepanettone e non lo sanno. E’ il drammone pre-oscar, cerimonia che contende al Natale la palma di periodo più kitch e ipocrita dell’anno. Per quanto riguarda l’anno 2007 a reggere il vessillo della denuncia consapevole è questo Elah, da noi nome noto per essere una marca di caramelle al mou, che si impasta nei ponti dei molari ancora da finire di pagare e impedisce di proferire parola per almeno un paio d’ore. Quelle che servono a uno sfinito Tommy Lee Jones, asciutto e frastagliato di rughe come un terreno argilloso martellato da un sole impietoso, aiutato da Charlize Theron truccata da una che assomiglia terribilmente a Charlize Theron, a risolvere un mistero che scoperchierà tutto il marciume che esiste dietro la missione in medioriente, la sporca guerra e il popolo tradito e la bandiera da difendere. I valori da buon americano medio che crede a tutto ciò che gli viene detto. A casa, Susan Sarandon, piange.
Perché è sparito il figlio, il secondogenito superstite del primo già caduto da eroe di guerra, figlio di un patriottico Tommy –cartina topografica- Lee Jones che nella guerra ci crede e crede che la guerra faccia del figlio un uomo. Un bravo americano si vede nel momento del bisogno. Alla guida del film, Paul Haggis (si legge Clint Eastwood) l’uomo nuovo della narrazione ipertrofica senza alcuna stilla di ironia a stemperare la seriosità dei suoi copioni, nella paura che qualcuno non lo possa prendere sul serio. Il film sprofonda nella storia, vorrebbe essere antiamericano, antiBushiano, film di denuncia delle nefandezze dell’amministrazione guerrafondaia che governa gli USA, ma lo fa in modo talmente retorico, semplicistico e conservatore da risultare assolutamente disinnescato negli intenti che si propone e inoffensivo nella denuncia che vorrebbe scatenare. Un film antiamericano come piace vedere agli americani, sempre molto bravi nel democratico esercizio dell’autocritica dello status quo che comunque sostengono. Così, sparisce il bravo figliolo di Tommy Lee Jones, sergente dell’esercito in pensione, Susan a casa piange. Sparisce in territorio americano e il buon Tommy pensa, da All American Man che forse sarà andato a puttane e sarà svenuto con la faccia tra le tettone di una spogliarellista. Che vuoi “so' regazzi”. Susan piange. Poi scopre che suo figlio è stato fatto a pezzi e arrostito e che era un fior di stronzo come raramente un figlio dimostra di essere, che si droga, spaccia, tortura i prigionieri. Da All American Man, Tommy allora sospetta che a commettere il grave atto anti patriottico siano stati nell’ordine: i messicani, i negri, i froci, gli alieni, gli italiani, i colombiani, i testimoni di Geova. Ma non è così, allora conosce meglio quella che assomiglia in modo spaventoso a Charlize Theron, solo un po’ più pallida e vestita da grandi magazzini Wall Mart in periodo di sconti. Racconta al suo figliolo la parabola di Davide e Golia nella valle di Elah, in un quarto d’ora di grande introspezione psicologica in modo da fare entrare in empatia il pubblico con i contenuti drammatici e la grave metafora della tragedia che sta colpendo il popolo americano. Che nessuno capisce. Susan a casa piange. Quella che assomiglia a Charlize guarda attonita il vuoto riempirsi di significati che lei non aveva prima di allora preso in considerazione. Il pubblico in sala guarda attonito quella che assomiglia a Charlize mentre lo guarda riempire il suo significato e imbarazzato si volta dall’altra parte mormorando “ma che vuole questa? Chi si crede di essere Charlize Theron?”. Scartate tutte le razze residenti sul suolo americano, dopo aver pensato anche al possibile suicidio del figlio, (un buon soldato americano riesce a farsi a pezzi e a darsi fuoco, se vuole), Tommy nota che nell’esercito qualcosa non va. “Finalmente” mormora il pubblico che ha capito da un pezzo.
Dopo aver scartato i primi sospetti ovvero un soldato messicano, uno negro, uno frocio, uno alieno che ancora si ricordava di lui durante l’avventura con Will Smith, uno italiano, uno colombiano e uno che è tesimone di Geova, capisce che il colpevole è un All American Man proprio come lui. Il colpo di scena sveglia di soprassalto la platea del cinema che assiste all’appagante confessione come i RIS di Parma impegnati sui delitti di Garlasco e Cogne sperano da anni che accada e che nonostante abbiano filmato gli assassini durante gli omicidi non riescono ad incastrarli mai. Tommy arriva presto, finisce presto e di solito non pulisce il water. L’All American Man, buggera l’intero stato maggiore che vorrebbe insabbiare il tutto, si fa beffe del sistema, capisce che ha sbagliato, si pente e cambia radicalmente opinione su tutto. Susan piange per veder sprecati i suoi oscar in questa baggianata. La bandiera americana va alzata al contrario perché è codice internazionale di richiesta di aiuto e metafora di tutto ciò che è fallito. Quella che assomiglia a Charlize è Charlize e questo è un colpo di scena vero, visto che ormai la smutandata del Martini non lavora se non la rendono stereopaticamente credibile come americana media bruttina e sciatta invece che proporla come super pezzone di fica qual' è. Il buon americano medio non lo sopporterebbe.
Film cerchiobottista, dalla forma rassicurante e senza sottotesti che possano insinuare disagio in chi assiste e crede alla storiella che mette in scena se non quelli stilisticamente necessari alla mera risoluzione dell’enigma, così che più di tanto non si pensi e che una volta risolto il mistero l’attenzione sarà rivolta solo ad esso e si guarderà al futuro rassicurati. La guerra è una merda, è laggiù è tutto un casino. Ecco in sintesi il succo del messaggio. Concorrerà agli Oscar, otterrà consensi e verrà riposto nel cassetto delle prossime programmazioni in prima serata inframmezzato dalla pubblicità degli assorbenti e delle merendine ai grassi idrogenati.

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