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Michael Clayton

Regia di Tony Gilroy vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Michael Clayton

di lussemburgo
8 stelle

Nel passaggio dietro alla macchina da presa, lo sceneggiatore della saga di Jason Bourne non incorre nelle scorciatoie tipiche dello scrittore all’esordio da regista; crea invece un film pensato per immagini e scene, con una evidente dialettica tra primo piano e sfondo che sfrutta sfocature e le possibilità espressive della scelta di un’ottica fotografica. La parola, anzi, viene relegata ad un ruolo subalterno, centellinata con attenta parsimonia, lasciando che le immagini e le scene fondino la narrazione, mentre i personaggi si definiscono senza eccessi didascalici, con le sole sfumature della recitazione.
Nessun personaggio brilla di luce particolare nel film, ognuno sembra mosso da ragioni comprensibili sebbene discutibili, e l’umana debolezza emerge con cruda chiarezza da ogni fotogramma, illuminato in penombra con i toni di un crepuscolo invernale, eloquente sintomo dello stato della nostra società. È un mondo impazzito in cui una coscienza allarmata diventa un sintomo di follia da estirpare, dove l’altrui vita è un ostacolo sacrificabile sulla strada del successo economico o della semplice affermazione delle proprie ragioni. Egoismi privati o societari sembrano l’unico senso logico di ogni azione, la sua stessa motivazione e giustificazione, l’interesse economico l’ultimo motore. In questo contesto, Clayton è un personaggio che ha coerentemente rinunciato a qualsiasi morale, agendo con discrezione dietro le quinte, un ripulitore dei casi più scottanti, piegati più o meno onestamente al servizio dello studio legale al fine di creare una realtà adeguatamente pettinata per essere più presentabile. Michael Clayton non ha niente dell’eroe e ben poco di un personaggio positivo, sembra agire secondo automatismi di amorale consuetudine, ha fallito nel matrimonio e negli affari, non resiste all’attrazione di un tavolo da gioco. Eppure acciuffa in extremis una parvenza di dignità, anche se forse solo per salvarsi la vita, ma con l’inedita consapevolezza di aver agito secondo coscienza.
Il regista rinuncia alla costruzione a suspense rivelando sin dall’inizio il tentativo di far fuori il personaggio principale, danneggia l’andamento drammatico della sceneggiatura per porre invece l’accento sul vero nucleo narrativo fondamentale, quel vero colpo di scena che è il cambiamento del protagonista, la sua trasformazione, la stanca, dimessa e reticente epifania di una responsabilità autonoma, di una dignità che egli stesso credeva per sempre perduta.
Nella struttura anticronologica, nella diversificazione delle linee narrative, nell’efficacia sintesi delle psicologie, il film sembra influenzato dalle ultime tendenze della serialità americana e, per una volta, non risulta penalizzato dal confronto. La materia di Michael Clayton, densa di significato, proviene dal cinema impegnato degli anni Settanta incarnato, anche iconograficamente, da Sydney Pollack in un ruolo secondario, riferimento volontario ad un cinema spettacolare e di successo che sapeva però di non voler rinunciare alla denuncia, ad una funzione civile importante, pur evitando di appiattirsi in semplicistico precetto etico o moralistico. Ma la spettacolarità del cinema contemporaneo sembra non curarsi di qualsiasi esigenza sociale, lascia alla televisione seriale ogni sperimentazione e intervento critico, la messa in discussione delle certezze e l’ipotesi di un dibattito associato alla pura fruizione narrativamente avvincente.
Tony Gilroy, invece, si riappropria di questa prerogativa polemica del cinema. E con Michael Clayton, George Clooney prosegue un percorso cinematografico in cui il successo personale è funzionale alla costruzione di un progetto produttivo, in cui spesso è impegnato in prima persona. Clooney si riveste però con sorprendente frequenza di panni privi di fascino, si riserva personaggi complessi e tormentati, scegliendo quasi sempre l’opzione meno ovvia. Definisce così, anche personalmente, un cinema refrattario al semplice intrattenimento e interessato alla costante ricerca di una comunicazione di massa che rimanga attenta e sensibile al mondo.

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