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Il treno per il Darjeeling

Regia di Wes Anderson vedi scheda film

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La recensione su Il treno per il Darjeeling

di cheftony
6 stelle

“È una situazione di emergenza. Io ho la faccia quasi distrutta, Jack ha il cuore ridotto a brandelli e Massaggino diventerà papà! Diamoci dentro!”
“Ma gliel’hai detto?”
“Non ti arrabbiare. Per questo siamo qui: per cominciare a fidarci l’uno dell’altro.”

 

 

Il turista Peter Whitman (Adrien Brody) riesce per un pelo a prendere il Darjeeling Limited, un treno che percorre il nord dell’India. A bordo di esso Peter deve ricongiungersi ai fratelli Jack (Jason Schwartzman) e Francis (Owen Wilson), stando agli insistenti piani di quest’ultimo; i tre fratelli sono estraniati da un po’ di tempo e Francis, pedante e decisionista, ha deciso che un viaggio insieme in India è l’ideale per ritrovare se stessi e ricucire i loro rapporti.
Nessuno di loro sembra passarsela benissimo, fra tormenti ed incertezze: Francis ha avuto un brutto incidente motociclistico, Jack è reduce dal termine di un’angosciosa relazione con una ragazza che vive in Europa e Francis soccombe di fronte alla prospettiva del bambino che sua moglie aspetta.
Il comportamento tenuto dai tre a bordo del treno non fa che complicare la faccenda: i loro dialoghi sono tesi, i loro intenti non condivisi, le loro impressioni non conciliabili. Far perdere le staffe al capotreno (Waris Ahluwalia) e farsi cacciare rischia di compromettere il loro viaggio, ma in realtà Francis ha un secondo fine tenuto nascosto fin lì ai fratelli e il muoversi un po’ a tentoni per l’India è pur sempre un’occasione di rinascita…

 

 

Girato prevalentemente nel distretto di Jodhpur, in India settentrionale, il quinto film di Wes Anderson non fa che confermare lo stile inverosimilmente fumettistico del regista texano, sospinto fino a livelli preoccupanti nel precedente “The life aquatic with Steve Zissou”; se quest’ultimo “pastellone” marittimo scontava una narrazione tremenda - unita alla sensazione di non sapere dove andare a parare fra citazionismi e dialoghi poco brillanti - “The Darjeeling Limited” gode quantomeno di una prima parte davvero intrigante e ben ritmata; certo, questa risulta parzialmente vanificata da una mezz’ora finale che si accartoccia su se stessa, innocua e dimenticabile. Ma è pur sempre un lavoro fra i meno citati e più riusciti del regista icona hipster per eccellenza, nelle cui autobiografiche fisime (o forse nell'accattivante e ripetitiva estetica) sembrano ritrovarsi in molti.
Sceneggiato a sei mani dallo stesso Anderson, dal co-protagonista Jason Schwartzman e dal di lui cugino Roman Coppola, “The Darjeeling Limited” è dedicato al regista indiano Satyajit Ray, delle cui opere Anderson prende in prestito alcune musiche (insieme ai consueti classiconi a tutto volume, fra Kinks e “Play With Fire” dei Rolling Stones). Ma non è il caso di pretendere chissà quale sguardo acuto verso l’India, terra catartica per eccellenza, mitica e mitizzata: è su quest’ultimo aspetto che sembra concentrarsi di tanto in tanto la sottile ironia di Anderson. Per il resto è solo lo sfondo del suo ennesimo film su una famiglia spezzettata e immatura, composta da una madre desaparecida e da tre figli afflitti dal peso dei ricordi, simboleggiati dalle onnipresenti valigie di Louis Vuitton, simulacri di un padre che non c’è più.
Ma l’India è anche un buon pretesto per sguinzagliare il talento della costumista Milena Canonero e per imbastire una fotografia (sempre opera di Yeoman) giocata su toni di giallo e arancione saturi, intervallati da sporadici blu. Il colpo d’occhio di Anderson è sempre notevole ed ogni scena è rigidamente pianificata, fra colori, simmetrie e movimenti di macchina. Quel gusto tutto suo per rivelare dettagli più o meno (in)significanti a spizzichi e bocconi trova qui un equilibrio niente male, abbinandosi a qualche soluzione narrativa affatto scontata. Peccato che sia davvero mal gestita la sottotrama della madre, in modo tale da rendere pressoché inutile la partecipazione di Anjelica Huston; il che è un gran peccato, visto quanto il cinema di Anderson giochi sulla qualità interpretativa dei suoi numerosi attori-feticcio (Brody, Wilson, un Murray asse portante nel titolo precedente e qui presente in una minuscola particina introduttiva).
Anche in “The Darjeeling Limited” abbondano le bizzarrie di rara puntigliosità, quali le sigarette accese e mai fumate fino in fondo o il personaggio di Schwartzman costantemente a piedi nudi. Film di piacevole leggerezza, di una carineria innegabile, che fatica a lasciare il segno.

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