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Black Christmas - Un natale rosso sangue

Regia di Bob Clark vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Black Christmas - Un natale rosso sangue

di Corinzio
8 stelle

Gli anni '70 si contraddistinguono come un periodo molto fecondo riguardo molti generi cinematografici: l'horror, con "La notte dei morti viventi" di Romero, è in una fase di piena rinascita e rinnovamento attraverso la ristrutturazione dei modelli narrativi che si discostano nettamente dai precedenti, dominati dalle figure gotiche dei mostri "classici" di origine letteraria che avevano fatto la fortuna durante il decennio degli anni '30 ("Dracula", "Frankenstein", "L'uomo invisibile") e la loro successiva rielaborazione negli anni '50 da parte della Hammer Film.

Questi nuovi modelli non guardavano più al passato ma erano più ancorati alla realtà quotidiana. Un approccio completamente diverso, che non deriva dalla paura ancestrale verso un qualcosa appartenente ad un altro mondo, ma scaturisce anche da situazioni di forte contrasto fra due o più modi di vedere o concepire la realtà. "Non aprite quella porta" di Tobe Hooper rappresenta un esempio tipico, in cui abbiamo un gruppo di giovani con un sistema di valori più moderno (fra l'altro era l'epoca hippie) scontrarsi con quell'America rurale ancora arroccata su posizioni ultraconservatrici.

Oltre all'horror bisogna tenere conto anche dell'evoluzione del thriller che, dagli inizi degli anni '60 con pellicole come "Psyco" di Hitchcock e "L'occhio che uccide" di Powell, aveva posto al centro la controversa figura del serial killer, le cui prede preferite sono giovani donne. Una tendenza, questa, ripresa anche nel cinema italiano a partire da Mario Bava ("Il telefono", episodio de "I tre volti della paura", e "Sei donne per l'assassino") per finire a Dario Argento con "L'uccello dalle piume di cristallo".

Riguardo il versante italico si opera una codifica anche nella figura dell'assassino seriale, vestito di un lungo impermeabile, guanti in pelle e cappello che si diverte sadicamente a torturare le proprie vittime per poi ucciderle anche nei modi più fantasiosi.

In "Black Christmas" di Bob Clark, peraltro già autore di due horror indipendenti a basso costo ("Children Shouldn't Play with Dead Things" e "Dead of night"), si riesce a notare la presenza di questa eterogeneità di elementi che costituiscono l'ossatura principale di questa pellicola, certamente da considerare più un thriller che un horror, ma che presenta caratteristiche piuttosto originali e innovative, "scoperte" è il caso di dirlo, solo diverso tempo dopo la sua uscita in sala e specialmente con l'uscita di "Halloween" di John Carpenter, pellicola che ha alcuni punti in comune con il film di Clark.

 

Rispetto all'ambientazione tipicamente rurale del film di Hooper, Clark mantiene questo forte contrasto nella definizione nei personaggi, trasferendo però l'azione in un ambito cittadino. Infatti ci troviamo di fronte a due gruppi ben distinti fra di loro: da una parte una compagnia abbastanza omogenea di ragazze che parlano con facilità di sesso e di aborto e dall'altra un universo maschile che, pur non mostrando particolari caratteri di grettezza, si dimostra tuttavia molto disorientato di fronte a questa sorta di emancipazione femminile rispetto a modelli precostituiti, cogliendo di sorpresa personaggi come Mr. Harrison o del fidanzato di Jess, Peter.

Un sottottesto ben evidenziato, che tiene debitamente conto di un forte cambiamento all'interno della società civile, con risvolti persino ironici, come si nota nella scena del gioco di parole della "fellatio", quando le ragazze si recano alla stazione della polizia per denunciare le molestie telefoniche di un maniaco che si diverte a tormentarle. Uno humour nero, elemento costante della pellicola, che ben si sposa con l'atmosfera natalizia in cui è collocata la vicenda, che presenta un contesto sociale disaggregato con studentesse indisciplinate, cameriere alcolizzate e uomini sull'orlo di una crisi nervi.

Viene smascherato quindi quel velo di ipocrisia tipico dell'iconografia della festa natalizia in cui tutte le persone sono (o dovrebbero essere) felici e contenti. Se poi consideriamo che Olivia Hussey, la Madonna del "Gesù di Nazareth"di Zeffirelli da lì a qualche anno, manifesta la propria volontà ad abortire, la pellicola assume a posteriori persino un tono involontariamente dissacrante.

 

La struttura narrativa di "Black Christmas" non mostra particolari caratteristiche di complessità o compattezza, anzi si può affermare che è assai frammentata e che fonda la sua tensione nell'intromissione dell'assassino nella casa delle studentesse, appropriandosi senza essere visto di un proprio spazio personale all'interno della casa stessa (la soffitta per la precisione) ed attuando le proprie scorribande verso le sue vittime senza che le altre componenti della casa si accorgano minimamente di ciò che sta succedendo. Lo stato di costante tensione nasce quindi dalla vicinanza stessa del killer che può colpire da un momento all'altro e soprattutto dalla mancanza assoluta sul modus operandi e di un qualsiasi indizio sulla personalità deviata dell'assassino, ripreso quasi sempre in soggettiva dal regista.

 

Inoltre a rendere ancora più inquietante la figura di questo serial killer è l'incredibile cacofonia di voci che riesce a riprodurre durante le sue telefonate minatorie. Diverse tonalità e stati d'animo che in realtà è stato possibile ottenere elaborando le voci di cinque fra attori ed attrici, riuscendo non solo ad aumentare l'effetto disturbante in chi lo ascolta, ma di conferire, in mancanza di una sua precisa visibilità, la personalità stessa del killer. Killer che rimarrà senza un volto fino alla fine e che deluderà probabilmente gli amanti del whodonit: non sapremo mai chi si nasconde dietro quell'occhio spiritato che si intravede per pochi istanti, né tantomeno si saprà del movente che lo spinge ad uccidere le ragazze della casa o se l'uccisione della bambina nel parco è ascrivibile alla sua mano omicida.

 

Altro grande merito di "Black Christmas" è l'abilità tecnica della regia di Clark, capace di sfruttare in maniera eccellente gli spazi stretti della casa in cui la camera si insinua con notevole fluidità. Tutta la sequenza iniziale dell'intrusione dell'assassino nell'abitazione è un pezzo di bravura considerato l'anno in cui è stato fatto il film, oltre alle capacità acrobatiche dell'operatore nella sua esecuzione. Da ricordare inoltre altre due sequenze degne di nota: l'omicidio di Barbara (Margot Kidder) con un unicorno di cristallo in montaggio alternato al coro di voci bianche dei bambini che intonano canzoni di Natale davanti a Jess (Olivia Hussey) e tutto il lungo e inquietante piano sequenza finale. Buona anche la prova collettiva del cast, che pur non annoverando star di prima grandezza, riesce anche grazie a dialoghi ben curati, a delineare i personaggi in maniera abbastanza approfondita e lineare senza eccessivi fronzoli ed al servizio di una storia che, come già detto, ha lo scopo principale di creare tensione e paura. Un film che ancora oggi, a distanza di oltre trent'anni, mostra la sua freschezza, che ha vinto la sua scommessa nello sfuggire al più facile effetto gore per una messa in scena che privilegia l'atmosfera, che "sottrae" piuttosto che "aggiungere" e che nel suo piccolo può essere inserito senza problemi nella categoria (a volte abusata) dei cult-movie se non altro per quella ragazza morta con la testa ricoperta di celophan, vera immagine icona di "Black Christmas".

 

"Billy! Billy! Where' the baby?"

 

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