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Adolescente delle caverne

Regia di Larry Clark vedi scheda film

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La recensione su Adolescente delle caverne

di scapigliato
8 stelle

Nel 1958 Roger Corman dirige Teenage Caveman – anche se lui stesso confesserà di non aver mai diretto tale film, visto che il titolo di lavorazione era Prehistoric World cambiato poi dalla AIP per la distribuzione. Il film è ambientato in una preistorica società futura, post-apocalittica, dove la superstizione è l’arma usata dagli uomini per comandare altri uomini: il male ci difende. Infatti, la tribù in cui vive suo malgrado il giovane protagonista, Robert Vaughn, è soggiogata dall’ideologia retriva di un uomo dalla barba nera, Frank DeKova, ciarlatano senza mezzi termini che non solo impaurisce la tribù minacciandola con l’ira di dio se si trasgredisse alle regole, ma predica la cultura dell’odio e della guerra, l’unica , a suo dire, capace di governare una comunità.

Così nessuno degli abitanti della tribù si arrischia a superare il fiume dietro il quale vi si trova una terra verde e rigogliosa, continuando a vivere in una landa desolata che non dà frutto né selvaggina. Nessuno si arrischia a guadare il fiume perché il santone della comunità li mette in guardia sull’esistenza di un dio che li ucciderebbe se solo tentassero nell’impresa. Ma quando la protervia del santone si fa eccessiva e un uomo arrivato a cavallo viene ucciso perché “straniero”, quindi estraneo alla comunità, il giovane valoroso interpretato da Robert Vaughn decide di oltrepassare il fiume.

Inseguito dalla tribù si ritrova faccia a faccia con il solito cormaniano mostro di gomma che viene ucciso immediatamente dal santone, anch’egli ucciso poco dopo dal giovane Vaughn. Nel frattempo scoprono che sotto la maschera del mostro si cela l’ultimo sopravvissuto a una catastrofe nucleare, uomo come loro, ucciso dalla loro superstizione, dalla loro paura dello straniero, dell’estraneo, del diverso.

Pur essendo un film con moltissimi limiti è sorprendete per alcuni effetti rudimentali tipici di Roger Corman, come la lotta tra un varano e un coccodrillo mascherato da Dimetrodonte e la resa dell’ambientazione vegetale. Ma l’aspetto più interessante del film è l’attacco chiaro e palese all’autorità costituita giocato su tre livelli: la sfida a un dio tiranno, l’imbonimento delle masse attraverso religione, superstizione e odio del diverso, infine la guerra come patologica espressione di una virilità inesistente.

Nel 2002 il controverso, ma lucidissimo e interessante Larry Clark partecipa a un progetto televisivo della Cinemax, Creature Features – Le creature del brivido, riproponendo sempre a basso costo e con necessità fatta virtù lo storico film di Roger Corman. L’ambientazione è la stessa: una comunità di uomini regrediti all’età della pietra vive in una landa desolata dove si fatica a vivere, dentro a caverne inospitali che ne accentuano l’animalizzazione. Lo scenario è sempre quello di un futuro post-atomico che ha decimato la razza umana. Continuando con le analogie, anche in Clark c’è la rivolta dei giovani verso i vecchi, verso i padri, e il film si apre proprio con Stephen Jasso che uccide il padre durante una battuta di caccia. Il padre è lo stesso Larry Clark, chiuso il cerchio.

Inoltre il padre del protagonista Andrew Keegan ricopre il ruolo dello sciamano della tribù e come il suo predecessore del 1958 strumentalizza la parola di dio per i suoi porci comodi, come per esempio possedere carnalmente le giovinette della tribù perché è il volere di dio. Ucciso anche lui, i giovani protagonisti scappano dall’accampamento e finiscono in una metropoli deserta.

Qui vengono salvati dagli unici due abitanti, forse del mondo intero, Judith e Neill. Lei è la bella e intrigante Tiffany Limos, che come un altro degli attori, Stephen Jasso, partecipò poco dopo a Ken Park (2002); lui è Richard Hillman, talentuoso attore sempre rimasto ai margini delle produzioni a cui aveva partecipato senza mai spiccare il volo. Contrasse l’HIV nel 1990 e morì per overdose nel 2009, anno in cui uscì Ragazze nel pallone – La lotta finale, sequel del film del 2000 che gli diede maggior fama. Così la sua prova migliore, istrionica e gigionesca, fisica e ambigua, resta quella di Teenage Caveman.

Come in tutti i film precedenti e successivi di Larry Clark, il corpo adolescenziale è il segno con cui ribellarsi all’autorità, alla società omologata, per realizzare ed esprimere se stessi attraverso l’esperienza sensibile, esclusivamente fisica, ma anche il mezzo per sfuggire alla responsabilità, alla maturità e alla noia del mondo dei grandi, ovviamente in accezione negativa e autodistruttiva.

Fin dalle prime scene i corpi mezzi nudi dei giovani primitivi, gli “adolescenti delle caverne”, riempiono lo schermo con leggeri annunci di un erotismo in attesa di esplodere. La riproposizione del mito di San Sebastiano, con Andrew Keegan al palo, conferma la direzione in cui il regista si sta muovendo, il cui apice lo toccherà nell’imminente Ken Park.

L’esibizione del corpo adolescente, seppur ancor casto forse per contratto televisivo, è ancora acerba e risente dell’ego registico a livello visivo, cosa che non succederà con Ken Park, la cui classicità e distanza dello sguardo registico non rubano la scena ai veri protagonisti: i corpi nudi dei ragazzi. Qui, l’esibizione del corpo, sa di pruderia e di rimosso. Ha il sapore del frutto acerbo ancora non colto o meglio ancora del frutto proibito ancora da cogliere. L’estetica con cui il regista descrive questo primo segmento “primitivo” distorce il profilmico nella manipolazione dei colori in post-produzione e inquadra i corpi con la deformazione di un sogno liquido, impalpabile, pre-adolescenziale.

Dal momento in cui i ragazzi si svegliano nell’istituto chimico in cui Tiffany Limos e Richard Hillman li ospitano per il secondo fine di trasmettere loro lo stesso virus che li ha resi immortali e mutanti, Larry Clark, seppur zavorrato dal mezzo televisivo si scatena e denuda ragazzi e ragazze dapprima in un bagno sociale tutti nudi aiutati dai vapori dell’acqua bollente e in seguito in un baccanale di cocaina, alcol e sesso promiscuo. Il regista spoglia i ragazzi alla ricerca del corpo scabroso, dell’imberbe pulsione pansessuale, dell’irrefrenabile seduzione della carne che attiva i dispositivi di attrazione e repulsione con cui a livello narrativo si assesta il sistema dei personaggi, mentre invece nella società reale con gli stessi si creano i rapporti di forza.

Il binomio attivo/passivo è una chiave di lettura per interpretare la nuova versione del film del 1958, di cui Larry Clark stravolgerà tutto l’impianto narrativo e tematico, senza perderne la ribellione estetica di fondo. Gli attivi, ovvero la Limos, Hillman, Jasso e Crystal Celeste Grant si rapportano con i passivi, ovvero Keegan, Tara Subkoff nel ruolo della sua ragazza dagli enormi freni inibitori, Hayley Keenan e Shan Elliot sulle cui forme afro il regista si sofferma più e più volte, come se i rapporti umani, domestici, civili e pubblici fossero in realtà una continuazione del rapporto sessuale. Non solo nel gioco di poteri, ruoli e gerarchie che si innescano naturalmente, ma anche nell’erotismo e nella pornografia della dinamica relazionale per cui la libido sostituisce l’etica sovvertendo l’equilibrio di base.

In una società in cui minorenni si fotografano nudi allo specchio e condividono con il mondo intero la propria nudità o a anche la propria intimità sessuale che da “intimità” si trasforma in “pornografia” per via di un nuovo soggetto voyeuristico idealmente implicito, ma tecnicamente empirico; la stessa società in cui la prostituzione e la mercificazione del corpo sono diventati dei valori sociali utilizzati nella politica e nello showbiz senza più nessuna remora estendendo la pratica alla sfera privata per vivere in un mondo di lusso e di privilegi attraverso l’escortaggio; la stessa società in cui domina il culto per il fisico perfetto e la bellezza omologata senza badare al contenuto; in una società con queste inclinazioni disvalorative il trasferimento dei ruoli e delle gerarchie dei rapporti sessuali in quelli civili può creare, e lo ha già fatto, dei mostri.

Se il Teenage Caveman di Larry Clark non ripropone i temi trattati da Roger Corman, ovvero la sfida a un dio tiranno, l’imbonimento delle masse attraverso religione, superstizione e odio del diverso e la guerra come patologica espressione di una virilità inesistente, preferendovi il gioco morboso dei rapporti di forza che scaturiscono dai rapporti sessuali degli adolescenti, non si può non dire che implicitamente il regista di Tulsa attacchi la società moderna colpendo al fianco della morale cristiana prima e al fianco della morale patriottica dopo. Il suo “adolescente delle caverne” è istintivo, sessualmente orientato verso la confusione – sappiamo che Jasso nell’orgia ha penetrato anche il ragazzo afro nonostante fosse stato dichiarato il più dotato del gruppo (per la serie: le dimensioni non contano) – ma soprattutto crede ancora nella possibilità di un mondo migliore, edenico, un locus amoenus dove amore, sesso e pacifica convivenza regnano sovrani perché naturali.

L’aspetto virale della trasmissione della facoltà mutante ricorda in questo contesto la trasmissione delle malattie sessuali. Altro indizio per intravedere in Larry Clark’s Teenage Caveman un ulteriore tassello del percorso politico/poetico dell’autore che tacciato di pedofilia irride il sistema e continua a raccontare le mutazioni fisiche e le fisiologie corporali degli adolescenti per ricordarci che l’anima non può nulla senza l’aiuto del corpo per camminare a testa alta verso la caducità e la corruzione del corpo stesso. Non è un canto all’edonismo, bensì la de-demonizzazione della sessualità e del corpo come oggetti del peccato.

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