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Sicko

Regia di Michael Moore vedi scheda film

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La recensione su Sicko

di spopola
8 stelle

Indubbiamente Moore occupa con spavalda veemenza uno spazio che dovrebbe essere appannaggio prioritario del settore dell’informazione, o meglio dell’approfondimento giornalistico, quello “corretto” e documentato ovviamente, che intende “rischiare” senza paura, per consentire di far emergere la verità e gli scomodi retroscena del potere, non quello servile e ossequiente che ahimè la fa adesso da padrone e che rappresenta ormai la modalità dilagante e vincente che straripa un po’ dappertutto, aiutato da un mondo che deraglia sempre più verso l’indifferenza e l’omologazione, certamente più disponibile a farsi lavare il cervello che a ragionare di testa propria. Se qui in Italia ancora ci salviamo per qualche coraggioso spazio di “decenza” nonostante tutto (Report e la Gabbanelli, le inchieste di Iacona e poco altro) da una disastrosa “deriva” che intenderebbe propinarci (e con successo visti gli ascolti e le adesioni soprattutto da parte delle nuove generazioni) quale frutto di un serio ed onesto lavoro di giornalismo rampante persino le demenziali pornoesibilizioni di “Lucignolo”, anche nelle altre nazioni le cose non devono andare molto meglio, compreso il tanto decantato “faro di civiltà assoluta” rappresentato (ormai credo solo nei sogni e nelle utopie) dagli Stati Uniti d’America, visto come si sono messe le cose negli ultimi tempi. Anche lì, soprattutto dopo l’11 settembre e il doppio mandato bushiano (ma i “germi” erano già evidenti anche in anni non sospetti e con presidenze all’apparenza più illuminate e lontane) sembra che si sia davvero arrivati alla frutta, viste le omissioni e le omertà compiacenti che sono ormai connivenza assoluta, se i compiti istituzionali della “denuncia delle anomalie del sistema” che dovrebbero essere terreno d’elezione del mezzo di informazione di massa per eccellenza rappresentato dalla televisione (va considerato seriamente infatti che ormai la carta stampata, pur autorevole, rappresenta semplicemente una realtà “di nicchia” che fatica sempre di più ad incidere davvero ed ha bisogno di altri supporti più “popolari” per graffiare quanto e come riusciva a fare in passato nei rapporti con la "maggioranza silenziosa" cge è poi quella che purtroppo conta alle elezioni per spostare l'ago della bilancia da una parte o dall'altra), devono invece essere relegati nelle piccola (ma comunque “mordente”) marginalità di caparbi oppositori che incuranti delle conseguenze e dei pericoli, “rischiano” in proprio per veicolare (certamente a loro modo) alcune indiscusse (e indiscutibili) verità, come appunto fa da tempo il nostro autore. Visto che la televisione e molte testate giornalistiche sono ormai in un modo o nell’altro “controllate” o al servizio diretto di quei poteri forti dei quali dovrebbero mettere in evidenza (e non lo fanno) scelleratezze e iniquità, ecco allora che l’unica modalità rimasta disponibile è quella del cinema di denuncia (e in questo settore, soprattutto per opere come Roger & me e Bowling a Colombine, un personaggio atipico come Moore, se non ci fosse, bisognerebbe davvero inventarlo, anche se non è l’unico e probabilmente nemmeno il migliore, ma ha all’attivo una conquistata popolarità che lo rende molto più “visibile” e ascoltabile di altri). Forse ha un po’ perso l’innocenza degli esordi (lo scotto da pagare al successo?) ma anche se sotto un profilo di stretta “qualità” cinematografica presenta certamente più di una pecca, rimane unico e caratteristico, capace di “salvarsi quasi sempre in corner” con la costruzione personale (anche azzardata) dei suoi percorsi mai ovvi e scontati (irriverentemente anomali direi) sorretti dal tocco leggero dell’ironia che quasi sempre sostiene (rendendo ancora più incisivo il lavoro di denuncia delle ipocrisie e delle omissioni) ogni sua opera, nonostante inevitabili e sempre più frequenti “cedimenti” (oserei dire ostentazioni) che contribuiscono a farlo considerare a volte “troppo di parte” e che forniscono agli avversari, validi strumenti di contrapposizione (ovviamente di principio e non dialettica, perché in questo caso inevitabilmente non potrebbero che risultare perdenti su tutti i fronti, visto che al di là di certi possibili eccessi, le “verità” espresse sono comunque acclarate e ineccepibili) che a volte appannano un poco il risultato quasi per una “esuberanza di zelo”(o di furbizia programmatica). Con Sicko, la sua ultima opera (ed ennesimo capitolo di una battaglia personale ma tutt’altro che privata), Moore firma così un nuovo atto d’accusa feroce e documentato, mettendo a nudo definitivamente (il cinema americano ce ne aveva spesso anticipato alcune di queste incongruenze, anche se non ci aveva mai fornito le crudeli ed esatte dimensioni del problema e le sue implicazioni complessive) le tragiche deficienze del sistema sanitario statunitense e lo spaventoso abisso di inadempienze di una realtà che è una vergogna assoluta per chi si definisce “civile” e dovrebbe per questo privilegiare e salvaguardare ad ogni costo la salute dei propri cittadini. Decisamente vigoroso e razionale per tutta la prima parte, quando mette a nudo lo strapotere delle compagnie assicurative private interessate, le combine con la politica e il loro operato delittuoso finalizzato esclusivamente al profitto e intervista e “mostra” - a volte persino con paradossale sarcasmo - l’angoscioso calvario di coloro che pagano (o hanno pagato sulla loro pelle) le incongruenze di un controsenso inaccettabile, diventa forse un po’ troppo programmaticamente dogmatico quando si addentra nel confronto con l’andamento e i risultati di altri paesi di analogo “spessore economico” che hanno invece scientemente optato da tempo, facendone un dogma assoluto e irrinunciabile, per il sistema sanitario pubblico (e gratuito). Per noi che viviamo dentro a queste realtà più positive (ma tutt’altro che ottimali e sempre in bilico come dimostrano gli orientamenti di certe regioni nel nostro paese) sarebbero stati più comprensibili e accettabili le evidenziazioni, anche in questi “sistemi irrinunciabili e privilegiati”, delle inevitabili zone d’ombra che esistono e sono decisamente preoccupanti nonostante tutto. Per il Canadà in particolare, (l’Italia non è fra quei paesi presi a paragone, ma comunque nella lista delle “eccellenze” che intravediamo di scorcio, risulta singolarmente e con nostro sommo stupore, al secondo posto, subito dopo la Francia e moltissime posizioni prima degli States, che sono davvero il fanalino di coda fra i paesi industrializzati come efficienza e risultati ma con un costo pro-capite in assoluto più elevato e una aspettativa di vita decisamente inferiore) questa realtà disegnata solo a “rose e fiori” cozza inevitabilmente con ciò che riaffiora dal ricordo anche recente delle negatività e dei rallentamenti raccontati con amara insolenza dalle “Invasioni barbariche”, e anche per gli altri esempi mi rimane difficile immaginare che tutto si così in attivo (per l’Inghilterra che comunque rimane una realtà all’avanguardia, ho testimonianze dirette di amici che vi abitano o hanno vissuto in quella realtà che evidenziano una preoccupante inversione di tendenza). Ma credo che proprio questa sottolineatura forse eccessiva faccia parte del gioco, sia un espediente ricercato e amplificato dal regista, voluto e non casuale, perché lui intende rivolgersi (e svegliare le coscienze) non dimentichiamolo, principalmente ai suoi connazionali, sui quali probabilmente è necessario per fare breccia, l’iperbole di un raffronto “esaltante” e senza sfumature per rendere più evidente il loro abisso. In questo senso io ho trovato sintomatica (ma geniale) proprio l’ultima parte, lo sberleffo finale e irridente di un paradosso che permette davvero di chiudere definitivamente in attivo la partita (non importa quanto “veritiero” o in parte costruito, perché quel che conta in questo caso è l’impatto emozionale) del discorso su Guantanamo con conseguente successiva trasferta di un gruppo di persone che facevano parte delle squadre di salvataggio dopo l’attentato alle torri gemelle, uscite sofferenti per le malattie debilitanti e cronicizzate derivanti strettamente dal contatto con quei materiali pericolosi che, impossibilitate a ricevere le necessarie cure nel loro paese per il “veto” delle assicurazioni che gestiscono la salute, troveranno proprio a Cuba - la terra degli acerrimi nemici, il territorio del Diavolo così avversato (e vessato) – l’assistenza necessaria (e gratuita) non disponibile invece in patria nemmeno per i loro tanto glorificati “eroi” corsi in soccorso della nazione più ricca (e presuntuosa) della terra. Naturalmente (è già accaduto con Fahrenheit 9/11) gli americani (o meglio la loro maggioranza) continueranno a non “voler capire” (anche perché vivono in un paese dove come anche qui è in parte dimostrato con il discorso sulla Clinton che almeno ci aveva provato, o è zuppa o è pan bagnato, perché al di là degli schieramenti, sono in altre sedi le leve del potere, né sono gli eletti coloro che davvero le manovrano: loro hanno semplicemente il compito di cercare di indirizzare e tenere sotto controllo l’opinione pubblica facendo gli interessi di quelle forze economiche che li hanno sostenuti con i loro finanziamenti). Orwell eil suo 1984!!!! Solo che il pericolo non era rappresentato semplicemente dal totalitarismo della dittatura come una lettura affrettata del romanzo poteva far sottintendere al momento della sua stesura, ma era parte integrante anche di quelle democrazie evolutive che pretendono di continuare a fregiarsi di questa altisonante prerogativa libertaria anche quando non ne coltivano più i semi e le logiche. Loro più di altri hanno presto capito l’antifona scoprendo e sfruttando con profitto e sfacciataggine, il tubo catodico per il loro tornaconto, veicolando messaggi capaci di “corrodere” le intelligenze e rendere mansuete e acquiescenti le masse ormai incapaci di "distinguere" e di "valutare". Ancor più per questa ragione allora è encomiabile l’impegno e la dedizione (d’accordo… c’è anche il successo e il ritorno economico, ma è davvero necessario sottolineare questo aspetto visto che se non fosse diventato quello che è soprattutto fuori dall’America, acclamato ed osannato, non avrebbe avuto certamente la possibilità di continuare il cammino intrapreso con tanta veemenza?) di questo grassone strafottente sempre e comunque controcorrente che persegue imperterrito e senza lasciarsi intimidire, così sprezzanti e appassionate operazioni di destabilizzazione del sistema: più che un Don Chisciotte che lotta inutilmente contro i mulini a vento, un aspirante David che vorrebbe arrivare con l’astuzia e la sua abilità affabulatoria ad abbatte il gigantesco Golia della deriva potere (sarà dura… forse impossibile, ma perché non provarci?).

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