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Non è un paese per vecchi

Regia di Ethan Coen, Joel Coen vedi scheda film

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La recensione su Non è un paese per vecchi

di scapigliato
8 stelle

Un’arida distesa brulla. Silenzio. Una voice over. Ribadiamolo che non fa mai male, soprattutto oggi in epoca di miscredenti: l’iconografia western è il teatro di tutte le umane passioni: come un palco spoglio dove l’uomo, nudo di tutto, dice chi è e cosa non è. Orrizzontale e verticale. Silohuette al sole, nella notte, al crepusco o all’inizio di un nuovo giorno. Le tragedie mai hanno avuto scenario migliore della frontiera. E i Cohen, pur non facendo mistero di aver fatto semplicimente un film, lo fanno però avendo bene in mente fin dove volevano arrivare. Sono partiti da Fargo per arrivare fino a qui, in Texas. Dalla neve che attutisce, al sole che stordisce. Dal ghiaccio che acceca ed estrania, al deserto che non discrimina e ti esalta come individuo. Così deve essersi sentito quella forza di Josh Brolin, tornato da qualche film a questa parte al cinema che conta, quando dopo aver perso delle bruttissime antilopi rifatte in digitale (va detto, facevano cagare), si ritrova in un cimitero a cielo aperto con una valigia piena di verdoni.
Qui parte il film dei Cohen. Qui parte il romanzo emblema della carriera di Cormac McCarthy, il più grande scrittore americano che si può studiare in storia della letteratura degli Stati Uniti oggi. A corredare la diegesi, attori di razza come Tommy Lee Jones e Josh Brolin, ex-goonies dei nostri cuori, oltre ad un caliente psicopatico cui da volto Javier Bardem, oscarizzato per questo suo Anton Chigurh. Tre uomini. Tre espressioni dei poli tragici, essenzializzati e stilizzati sulla frontiera mccarthyana. Il Bene, Tommy Lee Jones che si chiede che diavolo sta succedendo. Il Male, Javier Bardem. E l’uomo che si trova in mezzo e non sa più che cazzo fare. Un’apologia fin troppo naturalistica quella dei fratelli di “Fargo”, che devia nel barocchismo cupo delle esplosioni violente di Bardem. Il grosso del film resta un implacabile disegno arido di vite. Succhiato e privo di motivi, o valori, a seconda di chi guarda il quadro degli eventi. Abbiamo lunghi silenzi e lunghi deserti che poi lasciano spazio ai verticalismi carcerieri della città, dove i corpi dei due protagonisti si scontrano e mutano nella carne. Ma la carnalità del film non è contemplata nel testo di McCarthy che, invece, abbonda di essenzialità e secchezza. É una narrazione, la sua, veloce e spietata, senza segni di inzio o fine dialogo. Non importa più se il lettore capisce chi parla e chi ascolta, l’importante è che vada in fretta, che non si chieda nulla, e che arrivi a fine romanzo come se un proiettile gli avesse scentrato il ventre, e adesso se ne stesse lì in terra con le frattaglie di fuori a chiedersi perchè. McCarthy è l’ultimo degli “spietati” che Clint Eastwood ha dimenticato di inserire nel suo capolavoro. Eppure il lavoro dello scrittore nato nel Rhode Island, ma cresciuto nel Tennessee, gli merita questa direzione unica nel suo genere nel panorama letterario statunitense. Ora sta invecchiando a El Paso, in Texas, e forse è lì che scruta dalla sua camera la banca, proprio come Lee Van Cleef. Sto prendendo la tangente. Mi fermo.
Film imperfetto, quello dei Cohen, è un excursos anomalo che caratterizza bene ciò che del film è vitale. Essendo un’opera letteraria impareggiabile, la sua traduzione per immagini doveva prendere altre vie. L’ironia che i Cohen Bros. portano nella storia aiuta a stuccare la vicenda intera, che poi si getta di nuovo nelle maglie della carne che si lacera e nelle trame del destino più inesorabile. Se qualcuno di loro, i Cohen, McCarthy, Llewelyn Moss o lo sceriffo Bell, o anche forse il folle Chigurh, voleva dirci qualcosa, non l’ha fatto. Hanno solo stati, solo tienen estado. Impropriamente, la lingua può dire tutto quello che vuole. Resta di sicuro una tragica ballata, per altro senza intrusioni musicali esagerate, che se non porta nulla di nuovo al problema della violenza in un paese che, forse, “non è mai stato per i vecchi”, non porta nulla nemmeno di vecchio. Si sospende sulla frontiera messicana/statunitense, si ferma tra il “cazzo faccio?” e il carpenteriano “io so quel che faccio”. Sta lì fermo, poco gracile, sanguinante e menoso, sospeso tra una battuta coheniana e il crudo morire della carne. Se qualcuno di questi signori voleva dirci qualcosa non l’ha fatto: ci hanno risparmiato la verità.

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