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Paura e desiderio

Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film

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La recensione su Paura e desiderio

di ethan
7 stelle

'Paura e desiderio', opera prima del genio indiscusso Stanley Kubrick è stato a lungo un film pressoché invisibile a chiunque proprio a causa del maniacale regista newyorchese che non amava il suo lungometraggio d'esordio, considerato un film pretenzioso e irrisolto. L'ho rivisto stanotte, trasmesso all'interno di Fuori Orario, a distanza di qualche anno da una visione (in originale) su YouTube.

E' certamente un'opera immatura e distante dalla lunga fila di capolavori che il maestro sfornerà da lì a pochi anni - 'Rapina a mano armata' è del 1956 - fino alla conclusione della sua carriera, nel 1999 con 'Eyes Wide Shut', ma contenente già una ricchezza e un fascino stilistico unici e tante delle tematiche ricorrenti nella sua filmografia, che il filmmaker svilupperà in maniera più compiuta ed articolata negli anni a venire.

Dal punto di vista tematico osserviamo già un feroce antimilitarismo ('Orizzonti di gloria', 'Il dottor Stranamore', 'Barry Lyndon', 'Full Metal Jacket'), la violenza che regola i rapporti umani, le dinamiche di potere e di forza all'interno di un piccolo gruppo - quattro persone, numero kubrickiano per eccellenza, come sono quattro i drughi di 'Arancia meccanica' - l'analisi di personalità disturbate, come il soldato Sydney (interpretato dal futuro regista e sceneggiatore Paul Mazursky, recentemente scomparso), vera e propria cellula impazzita, antenato di Jack Torrance e Palla di Lardo.

Invece, dal punto di vista visivo, si tratta di un film ricco di trovate stilistiche, come l'uso della voce fuori campo - per me il vero punto debole di 'Fear and Desire', con frasi spesso retoriche e enfatiche prive di quella sardonica ironia che caratterizzerà, tanto per fare un esempio 'Arancia meccanica', 'Barry Lyndon' e ancora 'Full Metal Jacket', dando alle pellicole una marcia in più - di bellissimi primi e primissimi piani, illuminati da angolature particolari, che ricordano chiaramente il suo precedente e pregevole lavoro di fotografo presso la rivista Look e di una notevole padronanza del montaggio - contrariamente a quanto detto da molti, ritengo che gli scompensi a livello narrativo siano più attribuibili allo script di Howard O. Sackler - con un ritmo sapientemente dosato, con passaggi da momenti 'tranquilli', fatti di lunghi dialoghi, inframmezzati dalla voce over, ma creati appositamente per accumulare tensione, sfociante in sequenze concitate e vertiginose, in cui esplode la violenza.

La migliore, a mio avviso, è quella dell'assalto al 'nemico', risolta con inquadrature velocissime, composte in gran parte di dettagli dei piatti pieni di cibo, mentre il finale, in genere memorabile, pare un po' tronco o tirato via, forse per esigenze di budget risicato o per indecisione su come chiudere la vicenda.

Il doppiaggio, effettuato nel 2013, non mi pare di poter dire sia tra i più riusciti: di sicuro, con l'artista in vita e nota la sua pignoleria, sarebbe stato di gran lunga migliore.

Nel complesso un film 'apripista' di un autore straordinario, qui anche in veste di co-autore del soggetto, montatore e direttore della fotografia, che merita, nonostante i suoi difetti, di essere riconsiderato e soprattutto rivalutato.

Voto: 7,5.

 

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